Dramma a Rocca di Papa, ai Castelli Romani, dove un uomo di circa 60 anni ha sparato e ucciso un 35enne nel centro cittadino, davanti al capolinea Cotral. La vittima è Franco Lollobrigida, recentemente uscito dal carcere, dove aveva scontato una condanna legata alla morte di Giuliano Palozzi, il figlio dell’assassino. A premere il grilletto Guglielmo Palozzi, operaio della raccolta differenziata per il Comune di Rocca di Papa, padre del giovane morto nel 2020 dopo mesi di coma seguiti a una lite per un debito di pochi euro.

La dinamica: esecuzione in strada
Secondo quanto emerso dalle prime ricostruzioni, Palozzi avrebbe raggiunto Lollobrigida in prossimità di un carrettino per la raccolta dei rifiuti — forse durante il servizio — e gli avrebbe sparato più volte alle spalle. L’uomo è finito fermato poco dopo dai Carabinieri lungo via Roma, in evidente stato confusionale.

Arma ancora da trovare
I militari della compagnia di Frascati e della stazione di Rocca di Papa stanno setacciando la zona in cerca della pistola, presumibilmente un revolver. L’arma non è stata ancora ritrovata: si cerca nei cassonetti, negli anfratti del centro storico e lungo la funivia. L’uomo ha dichiarato di non ricordare dove l’avesse gettata, complice l’agitazione psicofisica al momento dell’arresto. Secondo i primi accertamenti, Palozzi non possedeva il porto d’armi, e la pistola era detenuta illegalmente.

Il precedente: la morte di Giuliano Palozzi dopo una lite per 25 euro
I fatti che hanno innescato l’omicidio risalgono al 27 gennaio 2020, quando Giuliano Palozzi, 33 anni, fu aggredito nei pressi della propria abitazione a Rocca di Papa durante una lite con Franco Lollobrigida. Motivo del litigio: un debito non saldato di 25 euro.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Giuliano fu colpito con pugni e calci, riportando gravi lesioni cerebrali. Ricoverato in coma all’ospedale Umberto I di Roma, morì nel giugno successivo, dopo cinque mesi di agonia.

Nel processo, Lollobrigida ammise di aver sferrato un pugno ma dichiarò di averlo fatto per difendersi: «Ho visto qualcosa di metallico, sembrava un’arma. L’ho colpito per reazione». Negò di essere stato l’unico aggressore, sostenendo che altre persone sarebbero intervenute dopo di lui.

Indagini in corso
Il caso è ora al vaglio della magistratura. Gli inquirenti stanno lavorando per chiarire ogni aspetto della dinamica e per recuperare l’arma del delitto. L’episodio solleva interrogativi inquietanti sul peso emotivo della giustizia privata e sull’efficacia del reinserimento sociale di ex detenuti coinvolti in reati violenti.