Una maxi-operazione contro il caporalato digitale ha coinvolto direttamente il territorio di Palma Campania, dove tre persone – tra cui marito e moglie – sono finite agli arresti domiciliari. Il gruppo, composto anche da una coppia residente nella cittadina vesuviana, è accusato di aver fatto parte di una rete criminale che simulava assunzioni di lavoratori stranieri in aziende fittizie, in cambio di denaro. In totale gli arresti sono cinque.

Coinvolte anche Carbonara di Nola, Brusciano e Grosseto
Il provvedimento di custodia cautelare ai domiciliari, notificato dai Carabinieri su disposizione dell’Autorità giudiziaria, è stato eseguito anche a Carbonara di Nola, Brusciano e Grosseto, con il divieto assoluto di contatti con l’esterno per tutti gli indagati, eccetto con i conviventi.

Palma Campania nodo della rete criminale
Secondo le indagini, partite mesi fa e culminate con le perquisizioni nel novembre 2024 in coincidenza con il cosiddetto click day per le assunzioni di lavoratori extracomunitari, Palma Campania era uno dei centri operativi principali della truffa. L’indagine ha portato al sequestro di 70 dispositivi elettronici, tra cui computer, smartphone e hard disk, per un totale di oltre 17 terabyte di dati digitali.

Falsi contratti per lavoratori stranieri: la truffa delle finte assunzioni
La rete agiva su scala nazionale, ma aveva il suo baricentro tra la Campania e la Toscana. I “clienti” erano soprattutto cittadini del Bangladesh, India e Nord Africa, disposti a pagare per ottenere un contratto di lavoro fittizio utile a regolarizzare la propria posizione in Italia. Le indagini hanno portato alla luce una vera e propria frode organizzata, con timbri falsi di Comuni, commercialisti e consulenti del lavoro, oltre a documenti d’identità digitalizzati e modelli precompilati di assunzione.

Le accuse: associazione per delinquere, falso e truffa aggravata
Gli investigatori hanno ricostruito l’intero modus operandi, evidenziando accessi ai portali governativi con SPID rubati, email fittizie e indirizzi IP mascherati. Gli account risultavano intestati a cittadini ignari. Le prove raccolte sono giudicate “gravi, plurime e concordanti” dal giudice per le indagini preliminari.