Un nuovo studio scientifico propone una chiave di lettura inedita per comprendere l’attuale attività sismica nei Campi Flegrei: l’accumulo di pressione nel sottosuolo, provocato da acqua e vapore, potrebbe essere all’origine dei frequenti terremoti che interessano l’area del supervulcano partenopeo.
A sostenerlo è una ricerca pubblicata sulla rivista Science Advances e condotta da un team della Stanford University, guidato dalla geofisica italiana Tiziana Vanorio in collaborazione con Grazia De Landro dell’Università Federico II di Napoli.
L’ipotesi: i fluidi in profondità spingono sulla crosta
Secondo i ricercatori, i terremoti avverrebbero quando la calotta vulcanica si chiude, imprigionando i fluidi nel sottosuolo e provocando un aumento della pressione. Questa situazione sarebbe analoga a quella verificatasi negli anni Ottanta, quando l’area fu interessata da una intensa attività sismica e da un marcato sollevamento del suolo.
La deformazione del terreno, spiegano gli studiosi, sarebbe legata in particolare alla velocità con cui l’acqua si infiltra e si accumula in profondità, alimentando un sistema idrotermale complesso.
Possibili soluzioni: gestire i fluidi per ridurre il rischio
«Per affrontare il problema, possiamo intervenire sul deflusso superficiale e sul flusso dell’acqua, oppure ridurre la pressione estraendo i fluidi dai pozzi» ha spiegato Vanorio, professoressa associata di Scienze della Terra e del Pianeta presso la Doerr School of Sustainability della Stanford University.
Secondo la ricercatrice, lo studio apre una prospettiva nuova: non solo monitorare, ma anche gestire attivamente il sistema geologico, riducendo così il rischio connesso ai fenomeni sismici.
«Questo progetto – ha aggiunto Vanorio – è il mio obiettivo anche come cittadino, non solo come scienziato, perché lo studio suggerisce che i disordini possono essere gestiti, piuttosto che subiti. È un primo passo verso la prevenzione».