Sono “indiziati, a vario titolo, assieme ad altre 14 persone”, di molteplici reati, alcuni dei quali aggravati dal metodo mafioso, l’imprenditore 38enne di origine calabrese Omar Mohamed, da tempo residente a Bologna, e Massimo Nicotera, 50enne napoletano ritenuto “contiguo a organizzazioni criminali di stampo camorristico”, nei cui confronti la Guardia di finanza di Bologna ha eseguito la misura della custodia cautelare in carcere disposta dal gip bolognese Domenico Truppa.
I 16 indagati totali sono ritenuti, dagli investigatori, responsabili a vario titolo di “riciclaggio, reimpiego di proventi illeciti, usura, estorsioni, malversazione di erogazioni pubbliche, trasferimento fraudolento di valori, reati in materia di droga, inosservanza della normativa antiriciclaggio, sfruttamento della prostituzione e tentato sequestro di persona”. L’accusa principale è, in sostanza, quella di aver riciclato in attività commerciali i proventi della criminalità organizzata.
L’ordinanza del gip è stata eseguita, oltre che dalle Fiamme gialle bolognesi, dal Servizio centrale investigazione criminalità organizzata (Scico), con il supporto dei Nuclei di Polizia economico-finanziaria di Venezia, Brescia, Roma, Napoli e Catanzaro e la cooperazione di Eurojust e del Servizio per la Cooperazione internazionale di Polizia (Unità I-Can, Interpol cooperation against ‘ndrangheta), nelle province di Bologna, Padova, Mantova, Latina, Napoli e Crotone.
Sono inoltre eseguite delle perquisizioni anche in Germania. Dalle indagini, dirette dal pm della Dda di Bologna Flavio Lazzarini, “è emerso- spiegano dalla Guardia di finanza- che l’imprenditore calabrese, potendo beneficiare di un coacervo di intrecci relazionali, abbia ricevuto nel tempo ‘anomali finanziamenti’ da parte di pluripregiudicati” ritenuti vicini a organizzazioni camorristiche e di ‘ndrangheta.
Questi ‘prestiti’, elargiti “a volte in contanti e altre volte tramite operazioni finanziarie tracciabili a fronte di artifizi negoziali, erano poi reimpiegati nell’acquisto di società o di immobili e auto di lusso”. Gli investigatori hanno inoltre documentato che il denaro “era poi ripulito e restituito anche grazie al coinvolgimento di imprenditori locali nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti”, ed è anche ricostruita “la posizione patrimoniale dell’imprenditore calabrese, rivelatasi sproporzionata rispetto alle dichiarate fonti di reddito”.
Per questo motivo è eseguito “il sequestro finalizzato alla cosiddetta confisca ‘allargata’ di quote sociali, compendi aziendali, immobili e altre utilità, per un valore complessivo di due milioni di euro”. Tra i beni sequestrati ci sono anche “alcune società che gestiscono rinomati locali del centro storico di Bologna, attivi nella ristorazione e nell’intrattenimento”.