Neonata bloccata in obitorio da tre mesi
Un dolore che si somma al dolore
Un dolore che si somma al dolore. A oltre tre mesi dalla morte della piccola Matilde, i suoi genitori non hanno ancora potuto darle sepoltura. La neonata è deceduta il 12 settembre scorso presso la Casa della maternità “Il Nido”, nel quartiere Testaccio a Roma, in circostanze ora al centro di un’indagine della Procura capitolina.
Il caso è aggravato da un complesso stallo burocratico che impedisce alla famiglia di completare le procedure funerarie. Le due ostetriche che hanno assistito al parto, attualmente indagate per omicidio colposo, non avrebbero infatti rilasciato l’attestazione di nascita. Si tratta di un documento indispensabile che i genitori devono presentare al Comune entro dieci giorni per ottenere il primo atto ufficiale relativo al neonato.
L’assenza dell’attestazione sanitaria blocca a cascata l’intero iter amministrativo: l’Anagrafe di Roma Capitale non può rilasciare il certificato di morte e, di conseguenza, non può essere completata la registrazione necessaria alla sepoltura. Una situazione paradossale che ha lasciato la neonata in una sorta di limbo giuridico, nonostante la magistratura abbia già concesso da tempo il nulla osta alla sepoltura.
Il corpo di Matilde si trova ancora nell’obitorio, una condizione che rappresenta un ulteriore trauma per i genitori, costretti ad affrontare un’attesa carica di sofferenza e impotenza.
Sul fronte legale, l’avvocato Bruno Sgromo, titolare dell’omonimo studio legale specializzato in vertenze di malasanità e incaricato dalla famiglia di seguire il procedimento civile, ha presentato una denuncia per omissione di atti d’ufficio. L’obiettivo è sbloccare una situazione che, oltre agli accertamenti giudiziari in corso, continua a infliggere un pesante carico emotivo alla madre e al padre della bambina.
La vicenda solleva interrogativi profondi non solo sulle responsabilità sanitarie oggetto dell’inchiesta, ma anche sulle falle di un sistema burocratico che, in casi così delicati, rischia di trasformare il dolore in una lunga e crudele attesa.