Il segretario generale del Sindacato di polizia penitenziaria, Aldo Di Giacomo, lancia un duro allarme: nelle carceri italiane, comprese quelle di alta sicurezza, si starebbe ripetendo lo scenario già visto negli anni Ottanta e Novanta, quando capi camorra e boss mafiosi impartivano ordini dentro e fuori dalle celle.

Secondo Di Giacomo, il risultato è duplice: da un lato violenze e soprusi ai danni dei detenuti più deboli, dall’altro una riduzione di almeno il 5% del numero dei collaboratori di giustizia, sempre meno fiduciosi nello Stato.

Il mercato della droga dietro le sbarre

All’interno delle strutture penitenziarie si sarebbe sviluppato un mercato della droga da circa dieci milioni di euro l’anno. Oltre alle sostanze stupefacenti tradizionali, circolano nuove tipologie:

pasticche come la “blu punisher”;

farmaci tritati o sniffati (tra cui orudis, contramal, stinox, lentomil e perfino tachipirina);

cerotti alla morfina;

francobolli impregnati di sostanze stupefacenti.

Uno scenario che, secondo il sindacato, il personale penitenziario non è attrezzato per riconoscere e contrastare adeguatamente.

Telefonini e violenza ai danni dei più deboli

Accanto alla droga prospera anche il mercato clandestino dei cellulari. I detenuti più fragili, denuncia Di Giacomo, vengono costretti con la violenza a custodire i telefoni e a occuparsi degli “affari sporchi” dei boss. In questo modo, i clan continuano a esercitare il controllo all’interno e all’esterno delle strutture, approfittando del sovraffollamento e della cronica carenza di organico tra gli agenti penitenziari.

“Lo Stato ha perso il controllo”

«Quando denunciamo che lo Stato ha perso il controllo e che a comandare sono i clan – afferma Di Giacomo – ci riferiamo proprio a questo. Il sistema penitenziario è diventato un girone dantesco, ma sembra non destare l’attenzione necessaria».

Secondo il sindacato, le poche assunzioni annunciate negli ultimi mesi non bastano: in molti istituti coprono appena i vuoti lasciati dai pensionamenti.

Gratteri: “I droni portano armi, droga e telefoni”

Anche il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, ha acceso i riflettori sul problema. In un’intervista al Corriere della Sera ha ricordato come i droni vengano sempre più spesso utilizzati per introdurre droga, cellulari e persino armi dentro le carceri. Alcuni istituti sono stati dotati di sistemi antidrone, ma i costi elevati hanno impedito un’adozione diffusa.

La conseguenza, sottolinea Gratteri, è che la presenza di droga e telefoni non solo mina l’ordine interno, ma scatena vere e proprie guerre tra detenuti per il controllo del mercato illegale.

L’appello: “Servono misure urgenti”

Di Giacomo conclude chiedendo un piano straordinario: «Occorre un adeguamento dell’attività investigativa anche dentro gli istituti, per colpire la Mafia 2.0 e i suoi traffici. Senza interventi immediati, il rischio è tornare indietro di decenni nella lotta alla criminalità organizzata».