Ci vuole una buona dose di incoscienza per fare impresa alle pendici del Vesuvio. E non parlo dell’incoscienza creativa, quella che serve per aprire un ristorante stellato in un mercato saturo o per lanciare un resort quando tutti ti dicono che è follia. No. Parlo dell’incoscienza vera: quella di chi investe capitali, idee e cuore in un territorio che ogni estate rischia di andare in fumo, letteralmente. Il 2017, con il suo maxi-incendio, avrebbe dovuto essere la sveglia definitiva: ettari di macchia mediterranea ridotti a carbone, fauna in fuga, un parco naturale trasformato in un inferno di cenere e fumo visibile da mezza Campania. Ci dissero: “Mai più”. E noi, ingenui, ci abbiamo creduto. Invece, otto anni dopo, eccoci qui: stessi roghi, stessa inerzia, stesso copione da tragedia estiva.

Gli imprenditori enogastronomici, del wedding e dell’ospitalità sul Vesuvio non fanno solo business: fanno presidio del territorio. Mantengono viva una filiera fatta di prodotti unici – vini, minerali, piatti che sanno di storia e di lava, location da cartolina – e alimentano un turismo che è il vero motore economico del Parco. Ma cosa significa curare la biodiversità, investire in paesaggio e accoglienza, se poi basta una scintilla – dolosa o “distratta” – per cancellare in poche ore ciò che la natura ha costruito in decenni?

Il problema non è solo ecologico. È politico. È gestionale. È culturale. Un territorio che non sa difendersi dal fuoco non è un territorio, è un bersaglio. E chi investe qui sa che ogni euro speso può trasformarsi in fumo, come la vegetazione, i sentieri, le bellezze che vendiamo ai turisti.

E allora la domanda è scomoda, ma inevitabile: perché continuare a mettere soldi e fatica in un luogo che non garantisce neanche il minimo sindacale della sicurezza? Forse perché amiamo il Vesuvio. Forse perché crediamo che il turismo possa essere più forte della stupidità e dell’incuria. Forse perché non sappiamo arrenderci. Ma l’amore non basta se chi governa il territorio considera la prevenzione un optional e la manutenzione una spesa inutile.

Il fuoco non è solo un’emergenza: è un fallimento annunciato, anno dopo anno. E ogni estate che lo lasciamo vincere, bruciamo un pezzo del nostro futuro economico, culturale e sociale.

E quando avremo ridotto il Vesuvio a un mucchio di polvere nera, forse ci sveglieremo. Non per salvarlo – sarà tardi – ma per organizzare una conferenza stampa, scaricare le colpe, piangere in diretta Tv e promettere, ancora una volta, un “mai più” che durerà fino al prossimo incendio. Perché qui, si sa, il fuoco è stagionale. La vergogna, invece, è perenne.