Si è sentito «umiliato e discriminato» Enzo Speranzini Anelli, 61enne pescarese, che ha raccontato su Facebook un episodio avvenuto all’ospedale di Pescara. Durante una visita, una dottoressa avrebbe compilato il referto al computer pronunciando ad alta voce la dicitura «specifico paziente omosex», riportata poi anche nel documento ufficiale.

La denuncia del paziente

«Una cosa del genere non mi era mai capitata – ha scritto Speranzini – tanto meno me lo sarei aspettato da un camice bianco che dovrebbe eccellere in delicatezza ed empatia».

Il 61enne ha spiegato che quel certificato dovrà essere consegnato all’accettazione per le terapie e rimarrà negli archivi: «Ogni volta che sarà consultato, comparirà il marchio paziente omosex».

La replica della Asl di Pescara

Attraverso una nota ufficiale, la Asl di Pescara ha chiarito che la dicitura riportata non costituisce un marchio discriminatorio, bensì un «dato anamnestico con rilievo epidemiologico».

Secondo l’azienda sanitaria, l’informazione è utile «per il corretto inquadramento del rischio di trasmissione di patologie sessualmente trasmesse e per la valutazione di eventuali profilassi, come la PrEP (profilassi pre-esposizione)».

La Asl ha inoltre sottolineato che:

non vi è stata alcuna violazione della privacy;

il consenso alla notazione sarebbe stato richiesto e ottenuto alla presenza di testimoni;

i dati restano circoscritti al referto iniziale, in possesso esclusivo dell’interessato.

Il dibattito

Il caso solleva interrogativi sul delicato equilibrio tra necessità cliniche e rispetto della sensibilità del paziente, soprattutto quando si tratta di informazioni personali che rischiano di essere percepite come stigmatizzanti.