Gli aumenti di stipendio per i dirigenti pubblici italiani stanno suscitando molte polemiche e discussioni, soprattutto in un momento in cui l’Italia è ancora alle prese con le conseguenze economiche e sociali della pandemia da COVID-19. Secondo quanto riportato nella bozza di accordo presentata dal presidente dell’Aran Antonio Naddeo ai sindacati, gli incrementi potrebbero arrivare fino a 390 euro per i dirigenti dell’Enac, mentre i dirigenti di prima fascia dei ministeri, delle agenzie fiscali e dell’Inps potrebbero vedersi aumentare lo stipendio di 340 euro lordi mensili. Per i dirigenti di seconda fascia, l’aumento previsto sarebbe invece di 195 euro mensili lordi.
Tuttavia, ci sono anche delle problematiche riguardanti il pagamento degli arretrati, che potrebbero far sfondare il tetto di legge dei 240 mila euro di retribuzione massima, non consentendo quindi a alcuni dirigenti di ricevere l’assegno che copre gli anni passati. La legge di Bilancio del 2021 aveva previsto che il tetto fosse adeguato da quest’anno, facendolo salire in modo da poter “contenere” gli aumenti di stipendio. Ma la norma nulla ha detto sugli arretrati che, dunque, potrebbero rimanere fuori.
In ogni caso, si tratta di una quota minoritaria dei 4 mila dirigenti e 2 mila professionisti delle amministrazioni centrali. La maggior parte dei “manager” pubblici si trova nella cosiddetta “seconda fascia”, per i quali l’aumento previsto sarebbe di 195 euro mensili lordi, 135 euro per il “tabellare” e 60 euro per la “posizione”.
È importante sottolineare che gli aumenti di stipendio previsti sono il risultato di un lungo negoziato tra l’Agenzia che tratta il rinnovo per il governo e i sindacati, e riguardano il periodo che va dal 2019 al 2021. Inoltre, va ricordato che i dirigenti pubblici svolgono un ruolo importante all’interno dell’amministrazione, e che gli aumenti di stipendio possono contribuire a migliorare la loro motivazione e rendere più competitivo il mercato del lavoro pubblico.