trovato privo di vita all’interno della sua cella nel carcere di Secondigliano, a Napoli, Pietro Ligato, 53 anni, ras della camorra casertana. L’uomo, arrestato nel gennaio 2023 nell’ambito di un’operazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, si sarebbe tolto la vita nel pomeriggio di giovedì 3 aprile, pochi giorni dopo aver deciso di collaborare con la giustizia.
La figura di Ligato all’interno del clan Lubrano
Originario di Pignataro Maggiore, Ligato era nipote del boss Vincenzo Lubrano e figlio di Maria Giuseppa Lubrano, sorella del capoclan, e di Raffaele Ligato, già referente del clan dei Casalesi. Dopo la sua scarcerazione, avvenuta alcuni anni fa, avrebbe assunto un ruolo centrale nella riorganizzazione del clan, tornato operativo nel territorio dell’Alto Casertano, noto anche come la “Svizzera del clan” per la sua importanza strategica e discreta.
Secondo le indagini della DDA, Ligato aveva ripreso in mano le redini del sodalizio criminale, gestendo attività estorsive e imponendo la propria presenza nel territorio, anche attraverso minacce a potenziali gruppi concorrenti.
La recente collaborazione e la morte improvvisa
Solo due settimane fa, Ligato aveva intrapreso un percorso di collaborazione con la magistratura, una scelta che avrebbe potuto segnare un punto di svolta nei processi contro la criminalità organizzata della zona. Tuttavia, la sua morte improvvisa – che le autorità al momento classificano come suicidio – rischia ora di interrompere o compromettere le indagini in corso.
Le dinamiche dell’accaduto sono attualmente al vaglio delle autorità competenti, mentre i Carabinieri e la Procura stanno lavorando per ricostruire con precisione le ore precedenti al decesso.
Il commento del Garante dei detenuti: “Tema scabroso e cruciale”
Sulla vicenda è intervenuto anche Samuele Ciambriello, Garante regionale dei detenuti in Campania, che ha commentato con preoccupazione:
«Dall’inizio dell’anno in Italia si contano già 27 suicidi tra le persone private della libertà personale, con 457 tentativi. In Campania, quello di Ligato è il terzo caso registrato, dopo i due avvenuti nel carcere di Poggioreale».
Ciambriello ha sottolineato come i suicidi in carcere non possano essere letti attraverso una semplice logica causa-effetto. Secondo il Garante, infatti, si tratta di fenomeni complessi, che richiedono un’analisi strutturale del sistema carcerario e delle condizioni psicologiche dei detenuti.
«Non c’è una sola motivazione che porta al suicidio, ma concause. Il gesto di Pietro Ligato, quindi, non può essere ricondotto a un’unica causa. È necessario riportare la questione sull’utilità della pena, senza ideologizzazioni ma con un approccio lucido e sistemico», ha concluso Ciambriello.