“Quello del medico non è un lavoro che si improvvisa, sono incisa 24 ore dopo la rottura delle acque, abbandonata alla speranza che i dolori incalzassero e il battito della bambina di stabilizzasse. È stata per me una violenza. Tutto per un maledetto parto naturale”. Racconta così Giulia, sui social, la morte della sua bimba appena nata Camilla, che è nata con un parto cesareo all’ospedale villa Betania di Napoli dopo un’attesa che la donna accusa essere stata troppo lunga e che ha portato alla morte della sua primogenita. Sull’accaduto è aperta un’indagine dall’autorità giudiziaria.
Il post
“Oggi torno a casa – scrive la donna di 31 anni – con il ventre vuoto, una cicatrice ed una bara. La mia casa sa di rosa, i cassetti sono pieni delle sue cose che non saranno mai indossate. Ho rotto le acque, una cosa fisiologica si sa a 38 settimane, corro all’ospedale Betania, i dolori non sono arrivati. Il parto è stato indotto il mattino seguente ma qualcosa è andato storto, il battito della mia bambina decelerava, io ero in ipertono uterino, potevo morire con lei. Tanti, tanti ostacoli al parto naturale e mi è stato detto ‘sofferenza fetale è un parolone’. Nonostante queste parole ho stretto a me una bimba col cuore caldo ed il cervello spento. Distacco di placenta improvviso”.
Il racconto di Giulia sulla morte della sua bambina Camilla dopo un parto cesareo all’ospedale Villa Betania di Napoli è un racconto straziante e toccante. Il dolore e la rabbia che traspare dalle parole di Giulia sono comprensibili e giustificati, considerando la tragedia che ha vissuto. Ci sono alcune questioni importanti che emergono dalla storia di Giulia e Camilla, tra cui la necessità di garantire un’adeguata assistenza medica alle donne durante la gravidanza e il parto. Come Giulia stessa afferma, il lavoro del medico non è qualcosa che si improvvisa, ed è essenziale che i professionisti della salute siano adeguatamente formati e preparati per affrontare qualsiasi emergenza durante il parto.