Da gennaio 2023 le pensioni fino a 2.101,52 euro lordi mensili, ovvero fino a quattro volte il trattamento minimo che è di 525,38 euro, sono incrementate del 7,3 per cento. Tuttavia, per gli assegni di importo superiore a questa soglia, la rivalutazione non è totale ma determinata con percentuali decrescenti, che sono ritoccate all’ultimo momento. Pertanto, per calcolare l’aumento netto delle pensioni, è necessario considerare anche la tassazione progressiva.
Un assegno di 2.000 euro lordi, che è adeguato a gennaio grazie all’aumento del 7,3 per cento, pari a 146 euro lordi in più. Tuttavia, l’effetto dell’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (Irpef) e delle addizionali fa sì che la rata mensile netta cresca di circa 100 euro, mentre i restanti 40 euro sono assorbiti dal prelievo fiscale. In percentuale, la variazione netta è intorno al 6,5%.
Per le pensioni superiori ai 2.101,52 euro lordi mensili, il meccanismo cambia: il tasso di rivalutazione del 7,3% non viene riconosciuto in pieno, ma solo in percentuale, con effetto sull’intero importo. Con 2.500 euro lordi mensili, ad esempio, la percentuale è dell’85%, e quindi l’incremento sarà del 6,205%: 155 euro in più che si riducono a 96 euro dopo la tassazione. In questo caso, l’aumento netto è del 5,2%.
In generale, dunque, gli incrementi netti delle pensioni non corrispondono a quelli lordi a causa dell’imposizione progressiva. Le somme aggiuntive subiscono un’aliquota marginale più alta, il che comporta un aumento netto inferiore rispetto a quello lordo.
È importante sottolineare, inoltre, che le pensioni sono tassate come gli altri redditi, e che quindi gli aumenti netti possono variare in base alle singole situazioni fiscali dei pensionati. In ogni caso, gli aumenti delle pensioni rappresentano un segnale positivo per i pensionati italiani, che potranno contare su un maggiore sostegno economico per far fronte alle spese quotidiane.





