La crosta della caldera della zona vulcanica dei Campi Flegrei risulterebbe indebolita, il che suggerirebbe la necessita’ di una maggiore attenzione per valutare la pericolosita’ effettiva della situazione. E’ quanto emerge da un nuovo studio pubblicato su “Communications Earth & Environment” da Christopher Kilburn, professore di Vulcanologia presso l’ University College London (UCL), da Stefano Carlino, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Osservatorio Vesuviano (INGV-OV), da Nicola Alessandro Pino, primo ricercatore INGV-OV e da Stefania Danesi, primo ricercatore INGV Sezione Bologna.

Da precisare che – secondo quanto riportato dall’INGV – “Al momento i risultati della ricerca non hanno alcuna implicazione diretta sulle misure che riguardano la sicurezza della popolazione”. Per il nuovo studio il susseguirsi degli episodi di sollevamento degli ultimi decenni ha causato un progressivo indebolimento nella crosta della caldera dei Campi Flegrei. Dalla ricerca risulta che la crosta della caldera flegrea sta attraversando un progressivo passaggio da una fase “elastica” a una “inelastica”. L’autore principale, il professor Christopher Kilburn, ha dichiarato: “Il nostro nuovo studio conferma che i Campi Flegrei si stanno avvicinando alla rottura. Tuttavia, questo non significa che un’eruzione sia garantita. La rottura puo’ aprire una crepa attraverso la crosta, ma il magma deve ancora essere spinto verso l’alto nel punto giusto perche’ si verifichi un’eruzione”.

“Questa e’ la prima volta che applichiamo il nostro modello, che si basa sulla fisica di come le rocce si rompono, in tempo reale a qualsiasi vulcano. Il nostro primo utilizzo del modello e’ stato nel 2017 e da allora i Campi Flegrei si sono comportati come previsto, con un numero crescente di piccoli terremoti che indicano una pressione dal basso”.