La fredda cronaca racconta che Fabio Postiglione non c’è più, vittima vicino Milano di un incidente con la sua moto. Un napoletano che più napoletano non si può – come chi vi scrive – che perde la vita giovanissimo nell’arido Settentrione dove da qualche anno si era stabilito con il lavoro al Corriere della Sera. Con Fabio ho lavorato circa dieci anni al Roma, dove entrambi abbiamo iniziato: lui ha fatto carriera vera, perché era bravo. Sì, è facile dirlo perché non c’è più. Ma lo era davvero.

Ma di Fabio non voglio ricordare il lavoro, ma tutto il resto che ci ha legato e che lo ha legato a tantissimi colleghi, amici e tifosissimi del Napoli. E proprio gli azzurri erano il nostro grandissimo punto in comune. Insieme a lui ho avuto la fortuna di vedere tra le altre Juventus-Napoli 2-3 e Napoli-Chelsea 3-1. La prima al desk, quando al terzo gol di Hamsik fece volare in aria il suo Mac per l’esultanza sfrenata. Alla fine di quella partita aprimmo persino una buona bottiglia di spumante.

Lui era specializzato, tanto e bene, nella cronaca nera e soprattutto giudiziaria, io invece facevo da tappabuchi ed un paio di giorni a settimana lavoravamo fianco a fianco con le scrivanie. Eravamo giovani, con pochi soldi ma ci sentivamo fortissimi, ed uno scoop, una notizia data prima degli altri ci faceva ancora emozionare. Del resto appartenevamo all’ultima generazione di giornalisti nata ancora con la carta stampata, quella che resta di copertura nelle redazioni, che lavorando necessariamente non da remoto alla fine finisce per condividere i fatti della vita: i problemi familiari, i legami del cuore, le gioie ed i dolori di genitori andati via troppo presto come era capitato a lui. Ed in tutto questo ho avuto il privilegio di essere un suo confidente.

Di e con Fabio potrei raccontare almeno duecento episodi che restano nella testa, nel cuore, nell’anfratto più profondo della coscienza: quel cavolo di sushi che lui mangiava, la birra condivisa con il turno fino a mezzanotte, il triste conteggio dei numeri delle vittime di camorra ogni anno a Napoli e provincia, le risate quando insieme leggevamo gli articoli di qualche collega, e quella – ormai diventata famosa – puntura di calabrone mentre era in scooter.

Dopo la morte di Ciro Esposito, il tifoso del Napoli ucciso prima della finale di Coppa Italia a Roma, aveva attaccato in redazione la foto di un murale apparso in città: “d’amore non si muore!”. Ed è davvero così, tu che di amore ne hai ricevuto un po’ e nei ha dato tanto, con la commozione dell’anima e la vana speranza di un domani, te lo ripeto: Fabiolì, fratello mio, d’amore non si muore”!