Una tragica vicenda ha segnato la morte del detenuto marocchino di 30 anni, Fakhri Marouane, presso il Policlinico di Bari. L’uomo era ricoverato dopo essersi dato fuoco nella sua cella nel carcere di Pescara, procurandosi ustioni su gran parte del corpo. La notizia della sua morte ha scosso l’opinione pubblica e ha riportato l’attenzione sulle condizioni delle carceri italiane.

Il detenuto Marouane era tra i reclusi vittime dei pestaggi avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020. In seguito all’aggressione subita, aveva deciso di costituirsi parte civile nel maxiprocesso che stava avendo luogo nell’aula bunker dello stesso carcere. Il processo vedeva coinvolti 105 imputati, tra cui agenti penitenziari, funzionari del Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) e medici dell’Asl (Azienda Sanitaria Locale), accusati di violenze e maltrattamenti nei confronti dei detenuti.

La testimonianza di Fakhri Marouane era considerata di fondamentale importanza per il dibattimento e per far luce sugli abusi e le violenze perpetrate nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Il suo coraggio nel denunciare tali fatti avrebbe potuto contribuire a rendere giustizia e a porre fine alle condizioni inaccettabili a cui sono spesso sottoposti i detenuti all’interno delle carceri italiane.

La morte di Marouane è un segno tragico delle difficoltà e delle sofferenze che possono affliggere i detenuti all’interno del sistema carcerario. La sua morte solleva anche interrogativi sulla tutela dei diritti dei detenuti e sulla necessità di garantire condizioni di vita dignitose e rispettose dei diritti umani all’interno delle strutture penitenziarie.

Le indagini sulla morte di Fakhri Marouane sono in corso e dovranno chiarire le circostanze dell’incidente che ha portato al suo ricovero e alla sua successiva morte. Nel frattempo, la sua scomparsa rappresenta una perdita e una triste testimonianza delle gravi problematiche che ancora affliggono il sistema carcerario italiano.