A Napoli nulla è mai solo quello che sembra. Un gol non è un gol, è una poesia urlata nel vento. Una vittoria non è una vittoria, è un atto d’amore collettivo. Uno scudetto, poi, non è mai solo un trofeo: è un grido di rivalsa, una carezza al cuore di un popolo, un bacio sulle ferite mai rimarginate.

Abbiamo vinto. Per un punto. Senza difensori centrali, senza il regista, senza Kvara, partito via come un figlio emigrante. Ma con l’anima piena. Questo tricolore è figlio della resilienza partenopea, della sua arte di arrangiarsi con grazia e genialità. È lo scudetto di Totò, di quella frase che dovremmo scolpire in ogni scuola, in ogni piazza: “Il napoletano lo si capisce subito da come riesce a vivere senza una lira.” E noi senza “lira” — cioè senza panchina, senza i riflettori, senza favoritismi — abbiamo danzato lo stesso. Anzi, meglio.

Abbiamo vissuto magnificamente nel cuore di un’Italia che ci vorrebbe sempre ai margini, nei bassifondi del racconto, nei titoli minori. Ma Napoli è titolo di testa, è prima pagina. Anche quando ci mandano eserciti camuffati da squadre — Genoa, Parma, Cagliari — per sbarrarci la strada. Anche quando si brinda per la mancata cessione di Osimhen, dimenticando che Napoli non si svende: si sceglie.

Questo scudetto lo abbiamo strappato con i denti, ma anche con il cuore. È lo scudetto dei bambini che tirano calci al muro nei vicoli, delle nonne col rosario in mano e la radiolina all’orecchio, dei padri che piangono ricordando Maradona e sussurrano: “È tornato il miracolo.”

È una carezza e un pugno a chi ci ha chiamato terroni, scimmie, sottosviluppati. A chi ha ridotto un popolo a uno stereotipo. È la risposta elegante di chi non odia, ma vince. Di chi non insulta, ma incanta. È Napoli che sorride senza dimenticare.

E poi c’è lui, Aurelio De Laurentiis. Troppe volte bersaglio, troppo spesso nemico. Ma stavolta mi tolgo il cappello. Due volte ci ha regalato il cielo. Due volte ci ha fatto sognare. Due volte ci ha resi eterni. Forse è il momento di chiedere scusa, almeno da parte mia. Perché se il calcio è sogno, lui ci ha costruito due favole, e senza incantatori o trucchi di scena.

E allora, stavolta, caro Pino Daniele, ti correggiamo con affetto: “Napule nun è mille culure… ma è tutta azzurra.”
Azzurra come il cielo sopra il Vesuvio.
Azzurra come il mare che ci abbraccia e ci consola.
Azzurra come la felicità che oggi ci inonda il petto.

Napoli ha vinto. Ancora. Ma soprattutto, Napoli ha amato, come solo lei sa fare.