Una diagnosi errata ha stravolto e infine spezzato la vita di un uomo di 59 anni. «Lei è malato di SLA», gli dissero. Una frase breve ma devastante, che suonò come una condanna a morte. Da quel momento, la sua esistenza non fu più la stessa. Col tempo, infatti, la disperazione si trasformò in depressione profonda, fino a spingerlo al gesto estremo. Tuttavia, come emerso successivamente, quella diagnosi si rivelò completamente sbagliata: l’uomo soffriva di una semplice, seppur fastidiosa, artrosi cervicale.

Tutto ebbe inizio nel 2000, quando l’operaio, residente a Cisterna di Latina, cominciò ad accusare una serie di sintomi debilitanti, tra cui vertigini ricorrenti e difficoltà motorie. Di conseguenza, decise di rivolgersi a un ambulatorio dell’Asl per sottoporsi ad accertamenti. Fu proprio in quell’occasione che gli venne comunicata la diagnosi peggiore: sclerosi laterale amiotrofica (SLA), una malattia neurodegenerativa grave e irreversibile, che nel tempo porta all’immobilità totale.

Per ben sei anni, l’uomo seguì con scrupolo un percorso terapeutico specifico, basato su farmaci volti a rallentare i presunti danni neurologici. Tuttavia, nonostante gli sforzi, i sintomi non miglioravano. Pertanto, nel tentativo di ottenere un quadro clinico più chiaro, decise di rivolgersi a uno specialista del Policlinico Gemelli di Roma. Ed è proprio lì che emerse la verità: l’uomo non era affatto affetto da SLA, ma da una mielopatia spondilogenetica, una forma di artrosi cervicale. In altre parole, si trattava di una patologia comune, curabile, e di gran lunga meno grave.

Secondo gli accertamenti svolti nella struttura romana, l’origine del problema era da ricercarsi nella degenerazione di due vertebre cervicali, le cui compressioni avevano generato i disturbi neurologici iniziali. Se la diagnosi fosse stata corretta fin dall’inizio, l’uomo avrebbe potuto evitare non solo cure inadeguate, ma anche anni di dolore emotivo e fisico.

Successivamente alla scoperta dell’errore, ormai in pensione, l’uomo si rivolse agli avvocati Enzo e Valerio Moriconi e avviò un’azione legale nei confronti dell’Asl e del medico responsabile. Tuttavia, le conseguenze psicologiche erano già irrimediabili. Anni vissuti nel terrore di una malattia terminale avevano lasciato cicatrici profonde. Così, nel 2018, ormai consumato dalla depressione, l’uomo decise di farla finita.

Nel 2023, il Tribunale di Latina ha riconosciuto le responsabilità dell’Asl e del medico, condannandoli al pagamento di 148.000 euro di risarcimento danni morali. Tuttavia, a quel punto, l’uomo era già morto da anni. La sentenza, per quanto significativa, arrivava troppo tardi.

Infine, nei giorni scorsi, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado, pur riducendo l’importo del risarcimento da 148.000 a 120.000 euro. Una somma che, sebbene simbolicamente rilevante, non potrà mai ripagare gli anni di angoscia e la vita perduta.