Nel corso dell’ultima inchiesta giudiziaria che ha portato all’arresto di undici persone, tra cui esponenti di vertice e gregari del clan D’Alessandro di Castellammare di Stabia, è emerso un dettaglio inquietante risalente agli anni ’80: il clan avrebbe utilizzato rapine come diversivo per alleggerire la pressione delle forze dell’ordine sulle piazze di spaccio.
La strategia criminale
Secondo quanto riferito da collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni sono verificate e ritenute attendibili dalla polizia giudiziaria, in occasione di controlli troppo frequenti da parte della polizia nelle zone di spaccio, il clan D’Alessandro ordinava a una “batteria” di rapinatori di intensificare le proprie attività. L’obiettivo era chiaro: distrarre l’attenzione investigativa e dirottare le risorse delle forze dell’ordine su un altro fronte criminale.
Gli ordini del boss Michele D’Alessandro
A impartire le disposizioni, secondo le indagini, sarebbe stato Michele D’Alessandro, all’epoca boss indiscusso del clan e oggi deceduto. La decisione arrivava dopo le lamentele degli affiliati che gestivano la rete di spaccio, fortemente penalizzata dalla presenza assidua degli agenti nelle aree controllate dal clan.
Un sistema radicato e strutturato
L’inchiesta sottolinea come la gestione dello spaccio di stupefacenti fosse una componente centrale dell’economia criminale del clan, e come ogni elemento disturbante — inclusi i controlli di polizia — venisse affrontato con strategie pianificate e coordinate, anche attraverso il ricorso ad altri reati violenti come le rapine.
Gli arresti
Le recenti misure cautelari scattate nelle scorse ore hanno coinvolto soggetti legati alla cosca D’Alessandro con accuse a vario titolo che vanno dall’associazione mafiosa al traffico di droga, passando per estorsioni e reati contro il patrimonio.