Un quadro drammatico e inquietante emerge dalle indagini sugli omicidi di Emanuele Tufano ed Emanuele Durante, due adolescenti uccisi in contesti legati alla microcriminalità giovanile. Le chat analizzate dagli inquirenti rivelano messaggi scioccanti, scritti da minorenni coinvolti nei fatti di sangue, che riflettono una deriva culturale e morale allarmante nei quartieri più difficili della città.
Tra i messaggi spicca una frase agghiacciante scritta da Emanuele Tufano, 15 anni, poco prima di essere ucciso:
“Vorrei andare a sparare a qualcuno, vorrei guardarlo negli occhi mentre muore.”
Crimine come modello: giovani armati e pronti a uccidere
Le conversazioni tra questi “baby criminali”, ragazzi spesso poco più che bambini, dipingono un contesto dove la violenza è normalizzata, dove sparare e uccidere viene percepito come un gioco, una forma di affermazione personale. Ragazzini che si comportano come killer navigati, in una realtà in cui il confine tra fiction e tragedia è completamente crollato.
“Queste chat rappresentano la plastica dimostrazione di una deriva gravissima”, denuncia Francesco Emilio Borrelli (Alleanza Verdi e Sinistra).
Il deputato ricorda di essere aggredito nel quartiere Sanità poche ore dopo l’omicidio di Tufano, mentre cercava di lanciare un messaggio contro la violenza:
“Mi sono trovato circondato da persone che difendevano apertamente la criminalità. Sono dovuto andar via scortato dalla Polizia.”
“Serve un intervento frontale per salvare i giovani”
Per Borrelli, il problema non è solo l’esistenza di giovani violenti e armati, ma soprattutto la presenza di una comunità che spesso giustifica, difende e legittima il sistema criminale:
“Finché non spezzeremo il legame malato tra criminali e consenso sociale, non fermeremo questa escalation di sangue.”
Secondo il deputato, serve un intervento frontale, deciso e sistemico, che parta da scuola, famiglia, istituzioni e punti a salvare una generazione sempre più attratta da un modello criminale che non porta gloria, ma solo carcere e morte.