Dopo oltre cinquant’anni di abbandono, Napoli recupera uno dei suoi tesori nascosti: la storica fonte di Santa Lucia, conosciuta anche come Sorgente di acqua ferrata del Chiatamone. Si tratta di un patrimonio idrico e culturale che, grazie a un lungo percorso di ricerca, studio e collaborazione tra cittadini, istituzioni e associazioni, è stato finalmente restituito alla collettività.
Una risorsa dalle origini antiche
Situata ai piedi del Monte Echia, la sorgente è celebre per le sue acque sulfuree, chiamate “suffregne” nel dialetto partenopeo. Note sin dall’antichità per le loro proprietà benefiche, queste acque sono fresche, leggermente frizzanti, biologicamente pure e particolarmente indicate per combattere anemia e carenze di ferro.
Per secoli, la fonte ha rappresentato un punto di riferimento quotidiano per generazioni di napoletani, in particolare per gli abitanti del quartiere Santa Lucia e per i cosiddetti acquaioli, venditori ambulanti d’acqua. Tuttavia, negli anni ’70, in seguito agli allarmi sanitari legati all’epidemia di colera, la sorgente finì chiusa al pubblico. Con essa, scomparvero anche i caratteristici chioschi dell’acqua e molte delle tradizioni popolari ad essa connesse.
Il progetto Hydrosophìa: acqua, memoria e comunità
Oggi, grazie al progetto Hydrosophìa, sostenuto da realtà come Architettura Nomade e Associazione Mondo Scuola, la fonte torna a sgorgare libera. L’iniziativa punta non solo alla riattivazione del sito, ma anche a promuovere una più ampia consapevolezza del patrimonio idrico urbano attraverso la partecipazione attiva dei cittadini.
Secondo gli ideatori, riaprire la sorgente significa restituire dignità alla storia della città e offrire al contempo una concreta opportunità di rigenerazione ambientale e culturale. Un gesto simbolico, ma anche profondamente concreto, che contribuisce a rafforzare il legame tra Napoli e le sue radici.