Nel 14° anniversario dell’omicidio di Melania Rea, il dolore della famiglia non si è attenuato. Il 18 aprile 2011, la giovane donna di 29 anni fu assassinata con 35 coltellate dal marito, Salvatore Parolisi, in un bosco del Teramano. Oggi, a distanza di 14 anni, la famiglia Rea continua a lottare contro un dolore che non si spegne e contro un sistema giudiziario ritenuto troppo indulgente.

Il padre di Melania: “Provo una rabbia che mi fa impazzire”
Gennaro Rea, padre di Melania, ha parlato al Corriere della Sera, esprimendo tutta la sua amarezza:

«Provo una rabbia che mi fa impazzire quando penso che tra due anni quell’essere immondo sarà fuori dal carcere e potrà ricominciare una vita nuova, mentre mia figlia non c’è più».

Parole forti che riflettono una ferita ancora aperta. Ogni anno, l’anniversario della morte di Melania è una ferita che si riapre, aggravata dalla prospettiva della prossima scarcerazione dell’assassino.

Parolisi verso la libertà: la rabbia per la pena ridotta
Salvatore Parolisi, ex militare dell’Esercito, fu condannato in via definitiva a 20 anni di carcere, una pena ridotta per la mancata applicazione dell’aggravante della crudeltà. Una decisione che la famiglia Rea non ha mai accettato:

«Quale buona condotta? Chi uccide con 35 coltellate dovrebbe restare in galera a vita», afferma il padre di Melania.

Gennaro Rea si dice sconvolto dalla giustificazione dell’omicidio d’impeto, che ha portato allo sconto di pena:

«Se potessi incontrare i magistrati direi loro che dovrebbero perdere una figlia per capire. Cos’altro doveva subire mia figlia oltre a 35 coltellate?».

“Nulla è cambiato”: la denuncia contro l’assenza di certezza della pena
Il padre di Melania denuncia anche un sistema giudiziario che, a suo dire, non tutela le vittime né punisce in modo adeguato i colpevoli. Ogni giorno – sottolinea – si leggono notizie di femminicidi, e ciò accade anche perché non c’è certezza della pena.

«In 14 anni non è cambiato nulla. Le donne continuano a morire. Perché chi uccide sa che può uscire. È una vergogna».