Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Campania ha accolto il ricorso presentato dalla Caronte S.r.l., azienda di onoranze funebri con sede a Pomigliano d’Arco, annullando l’interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Napoli.

Di conseguenza, è stata revocata anche la decisione del Comune di Pomigliano d’Arco, che aveva impedito all’impresa di proseguire la propria attività.

Le Motivazioni dell’Interdittiva Antimafia
L’interdittiva antimafia, emessa il 21 maggio 2024, era basata su un presunto rischio di condizionamento della Caronte S.r.l. da parte della criminalità organizzata. In particolare, il provvedimento si fondava su:

Il coinvolgimento del legale rappresentante della Caronte S.r.l. in un’altra società (Pomilia S.r.l.), precedentemente destinataria di un’interdittiva antimafia.
Una presunta parentela dello stesso con esponenti di un clan camorristico locale.
A seguito dell’interdittiva, il Comune di Pomigliano d’Arco aveva revocato l’autorizzazione all’attività funebre, bloccando di fatto le operazioni dell’azienda.

La Decisione del TAR Campania
Dopo un’analisi approfondita, il TAR ha annullato l’interdittiva ritenendo che gli indizi a supporto del provvedimento prefettizio fossero insufficienti e depotenziati.

Nella sentenza, i giudici hanno evidenziato che:

La sentenza del Tribunale di Nola del 2013 aveva già accertato l’estinzione del clan Foria, citato dalla Prefettura come riferimento per l’interdittiva.
Non esiste alcun legame di parentela tra il rappresentante della Caronte S.r.l. e membri del clan camorristico. La ricostruzione genealogica effettuata dal Comune ha smentito ogni legame familiare.
La Prefettura non ha fornito prove concrete che dimostrino una reale influenza della criminalità organizzata sulla gestione dell’azienda.
Il TAR ha quindi ritenuto che l’interdittiva fosse sproporzionata e priva di ragionevolezza, annullando anche la revoca dell’autorizzazione comunale.

Ripristinata l’Autorizzazione dell’Azienda Funebre
Grazie alla decisione del TAR, la Caronte S.r.l. potrà riprendere regolarmente la propria attività. Inoltre, il Ministero dell’Interno è stato condannato al pagamento delle spese legali, quantificate in 1.500 euro.