Il “senza cura” è una sentenza. Una sentenza di morte annunciata per l’ammalato. E per la sua famiglia. Spesso è una sentenza che arriva quando l’ammalato è ancora autonomo. La medicina aspetta qualche sintomo in più, non basta sapere che una sera apparentemente normale il corpo può richiedere un aiuto in più e che la sera successiva possa arrivare a gridare silenziosamente allarme e che un’altra sera ancora mandi messaggi indecifrabili.

Solo dopo più sintomi la medicina comincia a decretare e ad offrire “tentativi di cura”, alle famiglie coraggiose qualche camice bianco prova a definire persino i tempi.

Dalla sentenza alla fine delle sofferenze si brancola praticamente nel buio. Paziente, famiglia, e ricercatori, piccoli eroi ignoti che decidono di immolare la propria vita in un laboratorio di ricerca per pochi spicci al mese.

Oggi ricorre la giornata mondiale delle Malattie Rare, quelle di cui si parla sempre troppo poco, ma che fino ad un decennio fa nemmeno avevano un nome. Oggi esiste un elenco di sigle, spesso una consonante o una vocale raccontano dolori fisici diversi. Quelli dell’anima, invece, finiscono tutti in una solo dicitura: malattia rara.

In realtà la riflessione sulle Malattie Rare e la scelta di una giornata dedicata è da subito caduta provocatoriamente, dieci anni fa, sul 29 febbraio, giorno che cade ogni quattro anni, perchè delle malattie rare si parlava così poco che se fosse accaduto ogni quattro anni sarebbe stata comunque una goccia d’acqua nel deserto delle sofferenze.

Poi, qualche malattia rara è diventata “un pò meno rara”, qualche percentuale che sale, numeri in aumento, piccole associazioni di familiari che azzardano raccolte firme per essere ascoltati, qualche Asl che offre poche ore di assistenza domiciliare a mogli, mamme, figlie che cominciano a gestire macchinari e strumenti fino a diventare più brave di chi assiste i malati per lavoro. E così quando l’anno non è bisestile la giornata delle malattie rare cade il 28 febbraio.

In onore di chi combatte ogni giorno l’ignoto, ammalati che si affidano alla vita ed alla ricerca assieme alle loro “famiglie rare” che si inventano una quotidianità diversa provando l’amore come unica cura possibile.