È diventata definitiva la condanna a 4 anni di reclusione per G.M., un uomo di 68 anni originario di Caivano, ritenuto responsabile di un furto aggravato in concorso avvenuto nel 2009. Il caso riguarda un clamoroso furto notturno ai danni di una gioielleria all’interno di un centro commerciale a Cava de’ Tirreni, dove i malviventi sfondarono la saracinesca con un’auto rubata per poi saccheggiare merce del valore di circa 150mila euro.
I fatti e l’indagine
La banda, composta da quattro persone, agì con volto coperto e in piena notte. Gli autori del furto riuscirono a rubare un’auto per eseguire il colpo, utilizzandola per abbattere la saracinesca e infrangere la vetrina della gioielleria. Tra gli elementi chiave che portarono alla condanna ci sono:
Le immagini di videosorveglianza, che permisero la comparazione visiva e identificarono alcuni dei responsabili.
Prove di DNA: il sangue di uno dei complici, rinvenuto sul luogo del furto, fu analizzato e collegato geneticamente al gruppo.
L’imputato, già noto per una lunga serie di reati commessi a partire dal 1973, fu accusato anche di recidiva specifica e reiterata, elemento che aggravò la sua posizione.
Le fasi processuali e il ricorso in Cassazione
La condanna del Tribunale di Salerno, confermata dalla Corte d’Appello, è di recente sottoposta a ricorso in Cassazione. La difesa di G.M. aveva sollevato cinque motivi principali, tra cui:
La presunta mancata notifica del decreto di citazione a giudizio.
Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Dubbi sulla corretta applicazione dell’aggravante di minorata difesa.
L’assenza di un’ulteriore prova genetica richiesta durante il processo per dimostrare l’innocenza dell’imputato.
Tuttavia, i giudici della Cassazione hanno dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo valide le prove a carico e confermando la sentenza dei gradi precedenti.
Le prove decisive
Tra i fattori determinanti per la condanna c’è la conferma che le notifiche processuali erano state regolarmente ricevute, con l’accettazione della matricola del carcere di Poggioreale dove G.M. era detenuto. Inoltre, il riconoscimento della recidiva è sostenuto dai precedenti penali dell’imputato, che si estendevano per decenni con una lunga serie di reati simili.