Emanuele Civita, uno dei due giovani responsabili della sparatoria avvenuta a Sant’Anastasia, Napoli, il 23 maggio dello scorso anno, è condannato a 14 anni di carcere. Il secondo ragazzo, minorenne, è già condannato a 10 anni di reclusione per lo stesso reato. La drammatica vicenda ha avuto un forte impatto sull’opinione pubblica, in particolare per il coinvolgimento di una bambina di appena otto anni tra le persone ferite. La piccola stava mangiando un gelato con la sua famiglia quando rimase colpita alla testa da un proiettile sparato da un kalashnikov. Finì trasportata d’urgenza all’ospedale Santobono e immediatamente ricoverata in rianimazione. Anche sua madre è rimasta ferita nella sparatoria ed è stata ricoverata al Cardarelli.

“È una condanna importante”, ha commentato il deputato dell’Alleanza Verdi Sinistra Francesco Emilio Borrelli. Tuttavia, ha sottolineato come i due responsabili non abbiano mai collaborato attivamente con le autorità, rifiutandosi di fornire informazioni utili per il ritrovamento dell’arma del delitto. Borrelli ha espresso preoccupazione riguardo al contesto familiare in cui i due giovani sono cresciuti, considerandolo la principale causa della loro azione criminale.

Il caso ha sollevato una questione critica sulla responsabilità e la prevenzione delle azioni criminali nei giovani. La bambina, gravemente ferita, potrebbe affrontare gravi danni fisici permanenti a causa del trauma subito. “Per colpa di questi delinquenti, una famiglia resterà segnata per sempre”, ha dichiarato Borrelli, ricordando l’impatto devastante che tale violenza ha avuto su una comunità già provata da molteplici problemi sociali.

La sentenza di condanna rappresenta un passo importante verso la giustizia, ma lascia aperti molti interrogativi su come prevenire che tali tragedie si ripetano in futuro. È essenziale lavorare non solo sulla repressione del crimine, ma anche sulla prevenzione, intervenendo nelle situazioni di disagio familiare e sociale che possono portare i giovani a imboccare strade pericolose.