L’annuncio degli esuberi negli stabilimenti di Mirafiori, Cassino e Pratola Serra da parte di Stellantis ha scatenato una forte preoccupazione per il futuro dell’occupazione industriale in Italia. Secondo quanto comunicato dall’azienda, sono previsti 2.510 esuberi, di cui 1.560 a Torino, 850 a Cassino (di cui 300 trasferiti a Pomigliano) e 100 a Pratola Serra. Questi tagli avranno un impatto significativo anche sulle aziende della filiera della componentistica. Il mancato accordo sindacale sulle uscite incentivate proposte da Stellantis ha gettato quindi un’ombra sulle discussioni in corso con il Ministero dello Sviluppo Economico e le parti sociali. Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil, e Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile settore mobilità, hanno dichiarato che si tratta di un “piano per spegnere il lavoro” e hanno chiesto un intervento urgente della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per convocare il CEO del Gruppo, Carlos Tavares.

La situazione negli stabilimenti di Stellantis è in netto peggioramento, con l’utilizzo continuo degli ammortizzatori sociali a Mirafiori e in altri siti, oltre alla decisione di Leapmotor di allocare la produzione della city car elettrica in Polonia anziché a Torino. I sindacalisti evidenziano una discrepanza tra le affermazioni del CEO Tavares sulla centralità dell’Italia per Stellantis e le scelte concrete dell’azienda.

Stellantis sembra richiedere incentivi per l’acquisto di auto elettriche e finanziamenti pubblici per l’efficientamento degli stabilimenti senza impegnarsi a garantire nuovi investimenti o modelli di veicoli in Italia. Questo scenario preoccupante ha spinto la Fiom-Cgil a dichiarare che siamo ad una situazione di “non ritorno” e che è necessario un intervento congiunto di tutte le organizzazioni sindacali e dei lavoratori per contrastare le strategie dell’azienda e proteggere l’occupazione industriale nel Paese. Sono in corso valutazioni su possibili azioni da intraprendere a tutti i livelli, nazionale e di stabilimento, per manifestare la contrarietà alle decisioni aziendali.