Il 76enne Francesco Matrone, noto come “Franchino ‘a belva,” è deceduto domenica scorsa all’ospedale Santi Paolo e Carlo di Milano, dove era ricoverato dalla fine di agosto. La sua morte pone fine a una vita segnata da una lunga carriera criminale all’interno della camorra, la mafia napoletana. Matrone aveva recentemente lasciato il carcere a causa del peggioramento delle sue condizioni fisiche, essendo detenuto in regime di massima sicurezza, noto come 41 bis.

Negli ultimi procedimenti penali, Matrone era assolto da accuse come estorsione aggravata dal metodo mafioso e associazione di stampo camorristico. Tuttavia, la sua storia criminale era segnata da gravi reati, tra cui un duplice omicidio che gli era valso due ergastoli. Uno di questi omicidi era stato commesso a Sarno nel marzo del 1980, un agguato tipico della camorra. Matrone figurava come il mandante di questo omicidio. Era da tempo elencato come uno dei trenta criminali più pericolosi ricercati.

Matrone era rimasto latitante dal 14 giugno 2007, quando aveva iniziato a eludere la sorveglianza speciale imposta come misura di prevenzione con obbligo di soggiorno nel suo comune di residenza. La sua cattura è avvenuta solo nel mese di agosto del 2012, quando i carabinieri del Ros lo hanno rintracciato in una casa rurale ad Acerno, tra i monti Picentini. L’arresto ha richiesto l’impiego di oltre cento carabinieri.

Francesco Matrone era a capo dell’omonimo clan di Scafati agli inizi degli anni ’80. In quel periodo, si era associato, insieme a un altro boss di Scafati, Pasquale Loreto, alla Nuova Famiglia, una fazione della camorra capeggiata da Carmine Alfieri e Pasquale Galasso. Questa alleanza aveva lo scopo di contrastare la Nuova Camorra Organizzata (NCO) di Raffaele Cutolo. Il suo potere criminale si era esteso in modo dominante nel comune di Scafati nei decenni successivi, ma l’organizzazione aveva subito un declino a causa delle numerose indagini antimafia.

La sua latitanza era resa possibile grazie all’aiuto di diverse persone, tra cui un parente. Il regime carcerario duro in cui era detenuto, il 41 bis, gli era confermato dalla Corte di Cassazione, che aveva sottolineato il ruolo chiave di Matrone nell’organizzazione criminale da lui capeggiata, la sua propensione alla violenza e la sua abilità nel mantenere collegamenti con il mondo criminale.

Nel corso degli anni, diversi collaboratori di giustizia avevano fornito ulteriori dettagli sulla sua influenza criminale a Scafati e la sua partecipazione a vari reati. Le relazioni della Direzione Investigativa Antimafia (Dia) avevano evidenziato la sua forte presenza nel contesto criminale locale e le indagini in corso sulla criminalità organizzata nella zona.