Dopo il successo ottenuto grazie a “Strappare lungo i bordi”, Zerocalcare si ritrova di nuovo in cima alla classifica Netflix con la serie intitolata “Questo mondo non mi renderà cattivo”.
Anche questa volta l’autore è riuscito con la sua arte a metterci in contatto con problematiche sociali attuali e sempre più all’ordine del giorno, dal problema dei migranti, alle difficili condizioni di vita di chi abita nelle periferie della capitale.

Centrali anche in questa serie le storie di Zero e i suoi amici, che devono stavolta confrontarsi con il ritorno di Cesare, un amico d’infanzia lontano 20 anni dal quartiere a causa della tossicodipendenza.

Il punto forte di questo autore, che probabilmente gli è valso il tanto successo che ha oggi, è la spontaneità e la naturalezza con cui riesce ogni volta a raccontare le sue storie, come succede per quella di Cesare, nella quale flashback di un’infanzia tormentata dai dubbi e le insicurezze si alternano al racconto di una vita adulta ormai devastata dalla droga e dall’emarginazione sociale.

A tutti può capitare di perdersi come è capitato a Cesare, camminare in una direzione pensando che fosse l’unica possibile per poi accorgersi troppo tardi che portava dritta ad un buco nero, o perché no, alla fossa delle Marianne tanto cara a Zero, metafora di una dimensione in cui pur di sopravvivere s’impara ad accettare tutto, anche la mancanza di luce.

Tutto si riduce al racconto della disperazione di chi per un motivo o per un altro si sente solo ed abbandonato dalla società, ed entra in quel circolo vizioso che parte dall’odio e genera altro odio, che poi si riversa su chi di fatto non c’entra nulla, come i migranti del centro d’accoglienza tanto dibattuto nella serie. In questo modo, l’autore mette in evidenza una retorica del “Noi o loro” che non solo non convince, ma pare non aver ragione d’esistere.

Inaspettato ed amaro il finale, ci conferma però la premessa del titolo, e cioè non bastano le tante insidie del mondo a renderci cattivi.