«Maria Rosaria ci spiegò che con i pc della caserma Giosué aveva creato un profilo Facebook femminile, lo avevano pensato entrambi, da cui avevano mandato due o tre sms alla fidanzata per dirle che Trifone la tradiva». Lo ha riferito Anna Mena Rea, una delle amiche di Maria Rosaria Patrone, ascoltata in aula come teste nel corso della decima udienza del processo per l’omicidio di Teresa Costanza e Trifone Ragone.
«Mi disse – ha aggiunto la teste, rispondendo ai pm – che avevano fatto una stupidaggine. Maria Rosaria aveva fatto un accesso al profilo Facebook con il suo cellulare da Somma Vesuviana e temeva che potesse mettere nei guai Giosué. La preoccupazione di Maria Rosaria era molto forte, temeva che fosse un elemento che collegava Giosué a Trifone, e sapeva che Giosué non aveva un alibi perché era a casa a giocare con la playstation e non c’era nessuno che poteva confermarlo. Temeva anche che potesse essere licenziato perché non potevano utilizzare i pc della caserma per motivi personali».
L’amica ha riferito anche che il giorno prima di essere sentita dai carabinieri Maria Rosaria si era presentata a casa sua e le aveva chiesto di parlarle lontano dai cellulari: «Mi chiese di non dire del profilo Facebook e neppure del suo stato di agitazione», ha aggiunto. Analoghe circostanze sono state poi riferite anche da una terza amica, Carmen Claudia Piccolo. Le due hanno anche negato di essere a conoscenza che Maria Rosaria avesse avuto gravi malattie di cui si parlava nei messaggi inviati dal cellulare della ragazza a quello del fidanzato.
Alle tre ragazze sono state anche mostrate due foto di Maria Rosaria con ecchimosi al volto, in particolare agli occhi e al labbro, trovate sul cellulare di Giosué, ma le amiche hanno negato di averla mai vista in simili condizioni. Giovedì, alla prossima udienza, verranno ascoltati alcuni carabinieri del Ros di Roma che hanno svolto le indagini telematiche.