In tre arrestati e finiti ai domiciliari per truffa, altri tre denunciati ed indagati a piedi libero, e tra di loro anche un 29enne residente a Poggiomarino. In Toscana li hanno già ribattezzati la banda del “falso Brunello di Montalcino”, in grado attraverso artifici di aprire ad un vasto mercato nazionale e soprattutto internazionale di presunti vini pregiati prodotti a nelle campagne fiorentine e dintorni ma che invece erano allungati con prodotti di scarsa qualità pur riportando i marchi di noti “nettari” della specifica area geografica.
E tutti o quasi si era trasferito nella regione dall’agro-vesuviano, ed ora sono stati però scoperti dai Nas di Firenze che in collaborazione con i colleghi di Salerno hanno chiuso il cerchio dell’operazione “Bacco”. A finire in manette sono stati il nocerino Alberto Nicodemo, di 57 anni poi Armando Buonocore, 59 anni, di Maiori ma residente ad Empoli e poi Franco Alfani, 57 anni, ragioniere e consulente empolese. Gli indagati sono invece Pasquale Cioffoletti, 55 anni di Battipaglia, Antonio Bruzzese, 27 anni di Sarno ma residente a Eboli ed appunto Massimo Cesarano 29enne di Poggiomarino.
Il gruppo era riuscito a mettere le mani sul mercato del vino, mettendo in commercio sul mercato italiano e soprattutto estero fiumi di prodotto di bassa qualità ma per fortuna non nocivo alla salute, a cui veniva aggiunto alcol etilico per aumentare la gradazione e per cercare di ricreare, per quanto possibile, vini toscani di pregio, modificando le produzioni di determinate aziende vinicole del luogo.
Tra gli indagati ci sono anche i toscani Antonio Giglioli, 56 anni, nato a Lucca, residente a Viareggio e domiciliato a Certaldo, dipendente dell’Asl, che avrebbe fornito vino non tracciato prodotto in cantine dell’Empolese e poi imbottigliato come contraffatto; Filippo Coli, 43 anni, e suo padre Giampiero Coli, 76 anni, di San Casciano Valdipesa, della omonima azienda vinicola di Sambuca. Le indagini sono scattate dopo il sequestro di due bottiglie di vino contraffatto su segnalazione di un ristoratore in un negozio dell’Osmannoro a Firenze. Secondo quanto accertato, il vino usato era di bassa qualità ma non nocivo per la salute come accertato poi dalle analisi dei consulenti della Procura.
Una volta confezionato, usando falsi sigilli dello Stato che certificavano la denominazione doc o docg, veniva stoccato in depositi del Lazio e dell’Emilia Romagna. E poi venduto in Italia ma soprattutto all’estero. In un caso è stato accertato l’invio in Costa Rica di una partita di 18mila bottiglie. Dalle intercettazioni, secondo gli investigatori, sono emerse le caratteristiche del traffico di prodotti falsificati, e le telefonate tra i tre arrestati lo dimostrerebbero.