Tra gli elementi d’accusa contro Giosuè Ruotolo e la fidanzata Rosaria Patrone ci sono anche numerosi sms e chat di periodo precedente al giorno del duplice delitto, il 17 marzo 2015, in cui la studentessa universitaria di Somma Vesuviana manifesta inquietudine, sofferenza, in cui racconta di una depressione e di un disagio crescente di cui non si conoscono i motivi.

Comunicazioni che in alcuni casi gli investigatori giudicano volutamente amplificate e che, dopo settimane, si interrompono proprio il 17 marzo 2015 per non comparire più nella cronologia dei messaggi della coppia. Nella richiesta di misura cautelare si spiega che i messaggi sarebbero stati volutamente artefatti per essere utilizzati nel caso in cui Trifone avesse denunciato la coppia per le molestie subite attraverso falso profilo Facebook.

I fidanzati sommesi avrebbero addossato la colpa alla ragazza e alla depressione. Di questa ragione resta traccia in una cartella del Pc di Ruotolo: il militare era convinto di averla cancellata invece è stata recuperata dai periti informatici dell’Arma. Con la morte dei due non ci sarebbe più stata necessità di fingere disagio, questa sarebbe la causa, per l’accusa, dell’interruzione di messaggi di quel tono. Gli investigatori hanno anche scoperto che Giosuè utilizzava numerosi profili per chattare con altre ragazze in più social, servendosi di alias.

Nel computer del militare sono stati anche trovati file di video piuttosto eloquenti di momenti di intimità tra Giosuè e Rosaria che hanno fatto scartare agli inquirenti una delle piste di cui si era parlato nei mesi scorsi come possibile movente del delitto: una passione omosessuale verso l’ex coinquilino.

Tre amiche di Rosaria hanno anche riferito che la Patrone, «in un’occasione accompagnata dalla mamma, consegnando dei “pizzini” in cui si sollecitava le amiche a restare in silenzio, le invitava a non far trapelare nulla del profilo Facebook, parlando con loro soltanto all’aperto e coi telefonini spenti per paura di essere controllata dai carabinieri».