Ventiquattro giorni in un cella del carcere di Poggioreale, con l’accusa di avere fatto parte della banda di rapinatir sgominata a fine settembre dai carabinieri della compagnia di Marcianise, in provincia di Caserta. Una gang a cui vengono addebitati decine di colpi e che trova le sue fondamenta ed i suoi uomini proprio nell’area vesuviana ed in quella agro-nocerino-sarnese. Ma a quanto pare nel “vortice” di quelle 31 ordinanze, di cui 23 arresti tra penitenziari e domiciliari, è finito anche chi non c’entrava.

È la storia dell’imprenditore di Ottaviano, Salvatore Carbone, di 44 anni, che ha saggiato il sapore amaro della detenzione in carcere, giorni infiniti senza quasi neppure capire il motivo. Dietro le sbarre, inoltre, ha anche trascorso il giorno del suo compleanno: era il 17 ottobre, avrebbe lasciato la casa circondariale napoletana solo una settimana più tardi, quando il Tribunale del Riesame lo ha prosciolto ritenendolo non imputabile. Ma il “patibolo”, intanto, resta. Per molti, e soprattutto per chi era ed è in affari con lui, Salvatore resta un componente della banda.

Motivo per cui il titolare di “Impero Romano” – azienda tessile situata a Piazzolla di Nola e che si occupa particolarmente di import ed export – ha deciso di venire allo scoperto e di raccontare la sua storia. «Una mattina sono arrivati i carabinieri e mi hanno portato con loro. Poi, dopo alcune ore in caserma, sono stato trasferito a Poggioreale. Non ci potevo credere. Le forze dell’ordine mi hanno spiegato le accuse nei miei confronti e mi hanno mostrato le fotografie delle altre persone coinvolte nell’operazione». E tra queste, Salvatore Carbone, ne conosceva una soltanto, che poi sarebbe lo stesso uomo per cui è “finito al fresco”.

«Mi è stata imputata una telefonata con questa persona. In pratica uno dei soggetti attualmente ancora in carcere per l’inchiesta mi chiamò poco prima di compiere una delle rapine. Mi chiese alcune cose riguardanti un trasporto di cui io capii veramente poco». Fu proprio quel dialogo ad inchiodare sul momento l’imprenditore di Ottaviano, una pista che poi si è rivelata inesatta tanto da fare cadere i capi d’imputazione nei confronti dell’uomo. Intanto, però, tutti i giornali di Napoli e Caserta – e perfino a livello nazionale – avevano già pubblicato il suo nome e le sue foto segnaletiche: il suo ruolo sarebbe stato quello del “basista”, insomma di chi in qualche modo avrebbe organizzato gli assalti ai danni degli autotrasportatori.

«Adesso – riprende Carbone – sono finalmente libero e tra i miei cari. Purtroppo, però, la mia attività commerciale rischia di andare a rotoli. Per un mese nessuno ha avuto la forza e la possibilità di curarla, mentre anche ora è difficile riprendere a fare girare il mio marchio come precedentemente alla triste questione che mi ha visto interessato». Insomma, all’imprenditore serviranno forza e coraggio: per quasi un mese è stato accusato di avere partecipato ai raid durante cui i camionisti venivano rapiti, derubati e poi rilasciati in zone isolate ai piedi del Vesuvio. Ma Salvatore Carbone non c’entrava nulla.