Puglia. Lei insegna musica, lui gestisce un locale. Entrambi desiderano ardentemente un figlio, ma si ritrovano a vani e passionali tentativi programmati. Un pomeriggio lei viene aggredita e violentata, scoprendo, ben presto, di essere incinta. Il suo cambiamento fisico e psicologica si accompagnerà al dubbio della paternità del bimbo.

Da sempre il cinema di Michele Placido è una sorta di melting pot di generi e narrative, fatto di sguardi e primi piani intensi, di corpi sbalzati da uno schema all’altro, seguendo interessanti linee interpretative. Il regista pugliese in questa suo nuovo lavoro, La scelta, decide di ispirarsi a una commedia di Luigi Pirandello, intitolata L’innesto, tratta, tra l’altro, da due novelle brevi. Commedia che se pure scritta nel 1917, resta di una attualità disarmante: la storia della donna violentata da uno sconosciuto e rimasta incinta, se per l’epoca in cui venne portata a teatro era tabù, oggi è “semplice” normalità, come le aggressioni a giovani ragazze nei parchi di mezza Italia. Il regista di Romanzo Criminale decide, però, (seguendo una sorta di fil rouge con un altro suo lavoro, Un viaggio chiamato amore del 2002) di rendere la vicenda più “personale”, “intima”, “corporea”, “sussurrata”, “bisbigliata”, stratificandola di interiorità (grazie alla bella prova della protagonista principale di cui accenniamo più avanti), puntando ad avvicinare, fino al limite, la macchina da presa ai volti, alle membra, ai corpi (quasi a voler far entrare lo spettatore nel ventre della protagonista) ed enfatizzando tutto attraverso un miratissimo lavoro sul suono e l’immagine/inquadratura. La scelta diventa così un film di suoni diegetici ed extradiegetici  estremamente narrativi e metaforici (la colonna sonora è affidata a Luca D’Alberto) che si mischiano, tendono a confondere lo spettatore attraverso inquadrature però precise, che (forse con troppa ovvietà) vacillano quando “entrano” nella mente della protagonista, lasciando le angoscianti soggettive danzare tra le rovine della città antica. Regia che viene enfatizzata anche dall’ottimo lavoro alla fotografia di Arnaldo Catinari (solo per fare qualche nome e titolo: Moretti, Montaldo, lo stesso Placido e dietro tantissimi altri titoli, come Viaggio sola), che immerge lo spettatore in ombre e luci dei vicoli di una Bisceglie quasi magica, vera e propria protagonista “interiore”, trasformandola in un labirinto di Luce accecante (la gioia della protagonista, ma allo stesso tempo la sua confusione mentale, sorta di trip allucinogeno sotto certi aspetti) e Buio profondo, che inghiotte tutto, sentimenti, propositi, affetti, passioni (si pensi ai momenti post-aggressione e al rapporto che i due protagonisti hanno all’interno della macchina, completamente al buio senza mai guardarsi, al contrario dei primi amplessi, passionali e “illuminati”). Un film che si appoggia completamente sull’interpretazione intensa e struggente di una bravissima Ambra Angiolini, in uno dei ruoli più convincenti della sua carriera: parla con gli occhi, con ogni piccolo movimento di corpo, con ogni singolo gemito di tristezza. Sembra che a tratti possa comunicarci addirittura i suoi pensieri. Così il meccanismo che Placido riesce a costruire diventa di una “tensione narrativa” estrema, virando un dramma sentimentale quasi in noir, in un giallo, nascondendo tanto e (una delle pecche della pellicola) mostrando troppo (si pensi alla sequenza dell’aggressione, fin troppo pilotata e attesa dallo spettatore). La scelta (stavolta non come titolo) diventa quindi non solo quella dei protagonisti, ma quella dello spettatore: da che parte schierarsi? Cosa è “veramente” accaduto? E l’aborto? La stessa figura della Angiolini è evocativa: lei è la Madre, ancor prima di esserlo, maestra di un coro di giovani e puri bambini, che riescono a deridere i momenti seri con riusciti cori di versi di animali. Donna che riesce a trasformare un dramma gigantesco in una gioia immensa, cambiando prospettiva e facendola cambiare allo spettatore, fino a fargli pensare che la violenza, forse, non è mai avvenuta. Ecco allora la debolezza dei comprimari, Raoul Bova ad esempio, controparte di una tragedia che non riesce a scalfirlo completamente e che, purtroppo, non riesce a regalare intensità al suo personaggio quanta ne dà la Angiolini, che riesce a mettere tutte le altre figure femminili in secondo piano (una su tutte la sorella, impersonata da Valeria Solarino). Ma in fondo il ruolo di una Madre è questo: essere padrona della scena, dettare insegnamenti ai propri figli, dispensando consigli e facendoli passare dal torto alla Ragione. L’ultima sequenza è evocativa: Bova “attraversa” una sorta di parete di vetro, “passando” dal lato di sua moglie, che ha appena deciso di non diventare una assassina. La scelta, nonostante qualche piccolo difetto, resta un film intenso, struggente e ben interpretato, piccolo campanello d’allarme su un tema tanto “nostro” quanto attuale. Per riflettere.

Potrete vedere La scelta in queste sale:

-NAPOLI

America Hall

Filangieri Multisala

La Perla Multisala

Med Maxicinema The Space Cinema

-AFRAGOLA

Happy Maxicinema

-CASORIA

Uci Cinemas

-CASTELLAMMARE DI STABIA

Supercinema

-FORIO D’ISCHIA

Delle Vittorie

-NOLA

Multisala Savoia

The Space Cinema Vulcano Buono

-TORRE ANNUNZIATA

Politeama

-SALERNO

The Space Cinema Salerno

-CAVA DE’ TIRRENI

Alambra

-PONTECAGNANO

Duel Village