Aumenta il numero delle famiglie in cui nessuno lavora, e di conseguenza quello delle persone in condizioni di povertà sia relativa che assoluta: è questo il succo dei rapporti diffusi nei giorni scorsi da Istat e Caritas.
Secondo l’Istat, infatti, addirittura il 23% delle famiglie italiane vive in uno stato di povertà relativa. Non riesce, cioè, a fronteggiare le spese impreviste ed accumula arretrati nei pagamenti di mutui, affitti, bollette: per la Caritas parliamo di circa 14,6 milioni di individui.
In Campania il dato è ancora più allarmante, visto che il reddito pro capite nella nostra Regione si assesta intorno ai 16mila euro annui, un gap enorme che ci separa dai circa 26mila euro nazionali e dai 38mila euro che restano un miraggio ad appannaggio di paesi forti quali la Germania ed il Belgio.
E se, prima della crisi, era composto da italiani solo il 38% di quanti si rivolgono ai centri d’ascolto Caritas, nel 2014 la percentuale è schizzata al 60%. Il che non deve neanche stupire più di tanto visto che, almeno stando ai dati ufficiali, «in Campania appena il 39% della popolazione in età da lavoro ha un’occupazione».
Altro campanello d’allarme sono i giovani sotto i 30 anni che non studiano, né lavorano, né sono impegnati in alcun percorso di apprendistato: uno su tre circa. Cosa fanno, come passano le loro giornate questi ragazzi? Sopravvivono a carico delle famiglie, di espedienti, di malvivenza? Che abbiano trovato un modo per consumare il meno possibile e intanto dedicarsi a ciò che amano di più, tipo passeggiare, fare musica, praticare sport, scrivere poesie, leggere narrativa per puro divertimento? Non siamo così ingenui. Si tratta invece di un drammatico spreco di risorse umane in un territorio che sembra non offrire alcuna possibilità di scelta consapevole e felice, ma solo rassegnazione, depressione, mancanza di prospettive.
A chi pensa che si tratti di semplice lassismo e pessimismo giovanile, tocca ricordare che l’esempio è dato dagli adulti: molte imprese sono in difficoltà e, quando non chiudono, sono costrette a rimpicciolirsi per tagliare i costi. Di conseguenza aumentano i cinquantenni che perdono il lavoro, principalmente padri di famiglia che hanno difficoltà a trovare una nuova occupazione. E i dati raccontano che anche quelli che sono riusciti a rimettersi in gioco, accettando con coraggio, umiltà e dignità di impegnarsi in attività lavorative lontane dalle loro competenze, sotto retribuiti e con condizioni di lavoro al limite del degrado, pur provando a ripartire, non sono andati molto lontano.