Anche Francesco Rosi attinse alla sua controversa storia, fatta di mille sfumature nette. “La sfida”, del 1958, ripercorre le prime tappe di una carriera criminale che per certi versi è storia di vendette personali, per altri una microtrama che si incastra in quella che fu la faida per il controllo del mercato ortofrutticolo di Napoli, prima, e nella guerra tra la Nco di Cutolo e la Nuova Famiglia, dopo.
Amori drammatici, affari, sangue, fascino, caparbietà e acume: Pupetta Maresca, al secolo Assunta, nasce a Castellammare nel 1935 da una famiglia di contrabbandieri ed è la donna di camorra per eccellenza, da lei parte la nostra rubrica “Mary vs Mary”, che periodicamente vi racconterà le storie di donne sospese, in lotta contro se stesse, a metà tra l’amore per la famiglia e il bisogno di coerenza, avviluppate dal male che le circonda, a volte in fuga da esso, altre volte affascinate dalla possibilità di vestire quei panni che storicamente spettavano agli uomini: i panni del boss.
Pupetta Maresca racchiude in sé quel senso di giustizia che trasuda crimine, quello spirito di ribellione il cui limite massimo è la legge del taglione. E’ una ragazzina quando rifiuta il matrimonio con Pasquale Simonetti, il boss “Pascalone” da Nola: se prima non si fosse costituito per scontare una piccola pena cui era stato condannato, non lo avrebbe sposato. E Pascalone rinnega la malavita, si presenta in carcere e paga il suo debito. Quando torna libero consegna a Pupetta la pistola simbolo del suo passato. I due convolano a nozze, Pupetta è già incinta. Tre mesi appena ed è il passato a ritornare da Pascalone: è il 7 luglio del 1955 quando, per ordine di Antonio Esposito, un contrabbandiere detto “Totonno ‘e Pomigliano”, viene crivellato di colpi. Arriva agonizzante agli Incurabili e alla moglie accorsa al suo capezzale poco prima di morire sussurra il nome del suo assassino. Pupetta parte per San Giovanni Rotondo e ottiene un’udienza con padre Pio. Giura che si vendicherà. Quel senso di giustizia in lei è ormai diventato un viscerale bisogno di vendetta. Col pancione, vestita a lutto, Pupetta arriva in taxi al bar “Grandone” di piazza Garibaldi e spara a Totonno e Pomigliano: il sangue si lava col sangue. Darà alla luce in carcere Pasquale junior. Viene condannata a tredici anni di reclusione, ma nel 1965 ottiene la grazia e torna libera. Ormai è una celebrità, tanto da arrivare a interpretare se stessa nel film “Delitto a Posillipo”. Si innamora di nuovo, Pupetta, mentre, chiusa l’esperienza cinematografica apre due boutique, ed ha due gemelli dal camorrista Umberto Ammaturo, ma non accetta di sposarlo. Intanto Pasquale junior è diventato un uomo e ha scelto di emulare l’esempio di suo padre, di percorrere la strada della criminalità, ma ben presto sparisce nel nulla. Pupetta è una furia quando freddamente dichiara: “Non so che fine abbia fatto mio figlio. Mi facessero sapere con una telefonata o con una lettera anonima. Se per mio marito ho trascorso undici anni in una cella, per vendicare mio figlio affronterei trent’anni di reclusione”. Il ragazzo non viene mai più ritrovato, né vivo né morto. Ammaturo viene accusato di essere implicato nella lupara bianca, ma l’insufficienza di prove lo manda assolto. Si incrina però inevitabilmente il rapporto con Pupetta.
Sul finire degli anni 70 viene accusata di avere partecipato all’omicidio di Ciro Galli, luogotenente di Raffaele Cutolo vittima di una vendetta trasversale; l’accusa cade perché le prove contro la donna sono poche.
La sua appartenenza al sodalizio di clan che in quel frangente cerca di frenare l’egemonia della Nuova camorra organizzata diventa un fatto assodato quando, nel 1982, Pupetta arriva a convocare una conferenza stampa nel corso della quale dichiara: “Se per Nuova Famiglia si intende tutta quella gente che si difende dallo strapotere di quest’uomo, allora mi ritengo affiliata a questa organizzazione”. L’uomo in questione è Raffaele Cutolo, il boss dei boss. La dichiarazione di Pupetta si presta a una duplice interpretazione, lascia un margine di dubbio tra il male assoluto di una criminale a sangue freddo e una donna che cerca di ribellarsi alla camorra. Le sue parole sono perfettamente coerenti col personaggio mediatico che è diventata, o che si è costruita ad arte. Un personaggio sospeso a metà tra lo spiccato senso di giustizia che sembra trapelare dalle sue parole e l’appartenenza a quel sodalizio che, in contrapposizione alla Nco, in quel periodo sparge sangue in tutta la Campania.
Non passa molto tempo e Pupetta torna a varcare la soglia del penitenziario femminile; la si accusa di avere ammazzato Aldo Semerari, lo psichiatra che ha fatto dichiarare pazzo Cutolo. Anche questa incriminazione rimbalza contro un muro di gomma: viene assolta da questo reato e successivamente dalle accuse di estorsione e traffico di droga.
Ciononostante nel 1986 viene dichiarata ufficialmente affiliata alla Nuova Famiglia e i suoi beni vengono confiscati.
L’etichetta di camorrista però non sembra scalfire la sua immagine, tantomeno ferma l’attenzione mediatica nei suoi confronti: dopo “La Sfida” di Rosi del 1958 e il film “Delitto a Posillipo” in cui interpreta se stessa, nel 1982 la Rai produce “Il caso Pupetta Maresca” che però viene trasmesso in versione integrale solo nel 1994, anno in cui il tribunale civile di Roma stabilisce che la pellicola non dovesse subire tagli o censure non ledendo la reputazione della protagonista. L’ultima “Pupetta” della storia della tv è quella interpretata da Manuela Arcuri nella fiction “Il coraggio e la passione”. Sulle quattro puntate che vanno in onda sulla rete ammiraglia di Mediaset si abbatte una pioggia di critiche. Da Paolo Siani, fratello del giornalista Giancarlo ucciso dalla camorra, ad altri esponenti del mondo dell’antimafia il messaggio arriva forte e chiaro: “Sono altre le storie da raccontare, non queste che presentano al pubblico figure criminali intrise di un fascino che quasi va a giustificare le loro azioni”.
E’ anche la stessa Maresca a criticare la pellicola. Avrebbe voluto che attraverso la miniserie l’Italia potesse conoscere una storia diversa della sua vita, riscattarsi attraverso il piccolo schermo, ma “Il coraggio e la passione” è solo liberamente ispirato alle sue vicende. Pupetta, in conferenza stampa, dichiara: “Avrei voluto che si facesse il mio vero cognome, che la gente conoscesse la mia vera storia. Che fui costretta a uccidere quell’uomo perché lui voleva uccidere me; che l’avevo denunciato molte volte, ma sempre invano, alla polizia. Non fu vendetta, ma legittima difesa… Poteva essere più aderente alla realtà e meno romanzata, e poi perché cambiare il mio cognome in Marico?”
Perché, mi viene da dire, anche se di cognome fai Maresca e credi di avere tutte le ragioni per far fuori il mandante dell’assassino di tuo marito, del padre di tuo figlio, l’ancestrale sentimento di vendetta che alimenta dalla notte dei tempi le faide del mondo intero non giustifica il ricorso al sangue per lavare il sangue. Perché le regole a volte prescindono le ragioni, anche se valicano la ragione.