Mentre distruggeva per intero Pompei, Ercolano, Oplonti e Stabiae, il Vesuvio le consegnava alla vita eterna. Una giornata di piena estate che divenne la catastrofe naturale più devastante dell’antichità. Il caro vulcano trasformò lava, cenere e lapilli in pennelli e tela per dipingere il ritratto della civiltà vesuviana del 79 d.C. Uno spaccato perfetto della cultura romana della prima età imperiale che alle pendici del Gigante aveva trovato uno dei suoi massimi punti di sviluppo e che l’eruzione contribuì a fossilizzare permettendone la conoscenza ai posteri. E quando Carlo III di Borbone nel 1748, capì che ai ritrovamenti che proseguivano da oltre un secolo (a partire dalla costruzione del Canale Conte Sarno) dovesse dare seguito con scavi mirati e approfonditi, portando alla luce quello che Plinio il vecchio aveva egregiamente descritto (lasciandoci la vita), fece uno dei più grandi regali che il genere umano avesse potuto desiderare. Gli scavi cambiarono la sensibilità estetica, ridiedero vita al gusto classico che investì ogni aspetto culturale europeo del diciottesimo secolo. Tra le menti, una su tutte fu quella del napoletano Luigi Vanvitelli che riscoprendo la colonna antica romana piatta osservata negli scavi vesuviani, mandò in soffitto gli eccessi barocchi e rococò, dando origine ad un nuovo stile che a partire dalla Reggia di Caserta, si diffuse in tutto il mondo. Dal 1997 l’area archeologica è stata considerata dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.
Una cultura unica in cui la ricerca dei piaceri della vita in ogni campo, in uno stretto rapporto con la bellezza della natura facevano da trade-union alle attività umane. I pompeiani erano notevolmente operosi: eccellenti vinificatori e attenti agricoltori, mercanti e artigiani che vivevano in una società estremamente composita in cui la presenza romana si affiancava a quella etrusca e la più numerosa sannita. Tanto per farci un’idea riportiamo alcune curiosità. Piante e fiori erano ovunque, fuori e dentro le case, dove i dipinti di giardini fantastici riuscivano a dilatare i piccoli spazi. Recenti studi, hanno dimostrato che gli antichi abitanti di Pompei solevano fare uso di erbe e spezie per la conservazione del cibo. Altri metodi di conservazione venivano utilizzati per conservare frutti di vario tipo, immergendoli nel miele che aveva un’azione isolante e protettiva per ciliege, fichi e uva. Per gli alimenti salati, quali formaggi e carni il metodo di conservazione risultava molto più difficile. Spesso venivano usati grassi animali per proteggere alcuni tipi di formaggio di capra. Se invece qualcuno pensa di aver inventato concetto di “acqua: bene-comune” sappia bene che le terme dell’epoca erano molto economiche e anche gli schiavi potevano permettersele. In un mondo dove l’acqua corrente nelle case era un lusso, permettere a tutti di lavarsi accuratamente divertendosi è stata una grande idea. La vita media nel mondo romano salì a 35 anni, al contrario dei periodi precedenti e successivi dove invece fu più bassa.
La più grande scoperta della medicina moderna fu proprio l’igiene. C’è orgoglio ma anche amarezza nel vedere il successo che ha riscosso il film-evento “Life and death in Pompeii and Herculaneum” scavi elaborato e trasmesso al British Museum di Londra che, se da una parte tiene alto il nome del sito archeologico nel mondo, dall’altro produce il rammarico nel pensare alle attività di valorizzazione degli scavi che potrebbero e dovrebbero partire da qui, dove gli scavi cercano di continuare a vivere. E invece la perseveranza dei Borbone che, nonostante gli scarsi ritrovamenti iniziali, insistettero nel proseguire con gli scavi, è vergognosamente umiliata dalla scelerata gestione degli ultimi decenni fatta da organi politici e amministrativi che continuano a metterne a rischio la sopravvivenza e che, dal dopoguerra in poi, non sono riusciti a farne degli stessi un vero volano per l’economia locale, per sfruttare quel “Made in Vesuvio” che è un fiore all’occhiello della cultura italiana e che potrebbe facilmente diventarlo anche per l’economia.