Il Mare è da sempre una dimensione geografica importantissima della Campania e in essa della Valle del fiume Sarno, il cui recapito naturale è proprio il mare, quel Medi-terraneo (“mare-in mezzo-alle-terre”) che incontra le coste della nostra Regione ed è da sempre un coacervo di civiltà, di genti, di paesaggi. Sulle sue sponde, le quali prendono i nomi dai popoli dell’antichità che li hanno solcati o “abitati”, si incontrano e dialogano, o talvolta si scontrano e guerreggiano, religioni, culture, società differenti. Idee, merci, valori umani, filosofie, concezioni varie della sacralità e del senso ultimo dell’esistenza vanno e vengono fra le terre e le acque, confluiscono l’una nell’altra, complicandosi e arricchendosi da sempre.

La sua realtà spesso è illusoria: quello che oggi diciamo costitutivo del paesaggio, la famosa flora mediterranea, tranne la triade ulivo-vite-grano di insediamento molto precoce, il resto proviene da altri lidi: agrumi, eucalipti, cipressi, aloe, agavi, fichi d’India (appunto!), ortaggi e frutti che oggi ci sembrano così mediterranei e parte della nostra osannata dieta, vengono da lontano. Moltissimo di quello che riteniamo profondamente costitutivo della nostra identità culturale ed ecologica, viene da “fuori”, non è nativa delle terre che si possono incontrare in un periplo mediterraneo. Bene dice Braudel “Nel paesaggio fisico come in quello umano, il Mediterraneo crocevia, il Mediterraneo eteroclito, si presenta al nostro ricordo come un’immagine coerente, un sistema in cui tutto si fonde e si ricompone in un’unità originale.”[1]

“Superficie di trasporto”, dunque, spazio-movimento, occasione di commerci, scambi  e acquisizioni fin dall’antichità. Ma anche, e forse soprattutto, culla dei miti di grandi viaggi di scoperta e di confronto con l’altrui modus vivendi, viaggi nella storia, nell’antropologia e nella filosofia di vita dei popoli, viaggi registrati nelle diverse mitologie e cosmogonie oggi conosciute. Viaggi nei quali colonne o rocce si ergono contro i visitatori, mostri marini e terrestri si oppongono ai viandanti, sirene bellissime tentano i marinai disposti a tutto pur di “sapere” cosa c’è al di là del mare, al di là del conosciuto, al di là del sogno.

Il rimescolamento qui è la regola, è un vizio “originario”, che viene da lontano e prosegue con le spedizioni di ricognizione e di ricerca, conservatesi nei miti di Giasone, di Ercole, di Odisseo, e partendo dal territorio che oggi conosciamo geograficamente come Grecia insulare e peninsulare, vanno verso l’Occidente, la Terra dove il sole muore.

Un coacervo di ricordi, storie, narrazioni fantastiche, poi confluite nei mitici racconti dei viaggi greci, riferiscono di meravigliose spedizioni di eroi, durante le quali queste antiche popolazioni (i Micenei e, forse, i Minoici ancor prima), si pongono attivamente alla ricerca di materie prime a loro necessarie (metalli, materiali preziosi, e, probabilmente, schiavi) e di nuove rotte commerciali, poi divenute culturali. Infatti l’archeologia con i suoi scavi ci racconta, con la presenza costante di ceramica micenea sulle coste ioniche e tirreniche, nell’isola siciliana e nelle isole minori, come in Sardegna e nell’Etruria, di contatti tutt’altro che sporadici  con i popoli pregreci, per un periodo lungo che precede la colonizzazione vera e propria, intorno alla fine del II millennio a. C.

Al proposito così si esprime il prof. Pier Giovanni Guzzo, ex soprintendente di Pompei, che per lungo tempo ha lavorato in giro per l’Italia come archeologo e soprintendente: “ Si può quindi assumere che i prodotti micenei sono stati portati in Italia meridionale a seguito di viaggi compiuti da individui greci nella stagione favorevole, viaggi intrapresi per procacciarsi prodotti necessari…”[2]

In effetti l’unico insediamento finora accertato di epoca micenea in Italia è quello di Vivara. I ritrovamenti effettuati sull’isoletta, residuo dell’antico vulcano che la univa a Procida, documentano l’esistenza di un insediamento che costituiva un punto di approdo e di raccordo sulle rotte dei metalli già a partire dal XVI sec. a. C. Le consistenti tracce degli abitati di Punta Mezzogiorno, Punta d’Alaca e  Punta Capitello, unitamente all’eccezionale repertorio ceramico rinvenuto per quantità e qualità, ai residui di lavorazione dei metalli, al complesso sistema di computo e di memorizzazione (in assenza di scrittura) hanno consentito non solo di comprendere l’importanza di questa postazione nel complesso sistema di scambi fra i centri europei, il Mediterraneo occidentale e quello centro-orientale, ma, addirittura, hanno contribuito a far luce anche sui processi di stratificazione sociale in atto nella stessa Grecia nel periodo considerato.

Il risultato di tanti contatti è il preludio per un ulteriore rimescolamento di popoli: l’epopea mitica delle colonizzazioni dell’Italia Meridionale, che darà origine alla Megale Hellas. Ma questa è ancora un’altra storia, che merita tutt’altro spazio e narrazione.

[1] Fernand Braudel- Il Mediterraneo – Lo spazio la storia gli uomini le tradizioni- Bompiani- 1985

[2] Pier Giovanni Guzzo-La Magna Grecia- italici e italioti- Universale Electa /Gallimard- 1996