Quest’oggi alla 17.00 al Tennis Hotel di Agnano, si terrà un importante dibattito dal titolo “Intervista al Vesuvio”, in cui si parlerà dei rischi sismici e di eruzione, dei piani strategici operativi e di evacuazione, e dei collegamenti con i fenomeni vulcanici dei Campi flegrei. All’incontro parteciperà anche il sindaco Carmine Esposito, che ha anticipato, salvo modifiche o integrazioni, la risposta che darà quando gli verrà posta la domanda: “Dove sono finiti i fondi per la messa in sicurezza dei paesi vesuviani?”. Poiché la risposta è molto ampia, ne pubblichiamo esclusivamente i tratti salienti.
“Il pericolo rappresentato dal Vesuvio è naturalmente intrinseco nel contesto fisico della nostra regione così come, potremo dire, l’acqua è bagnata o il sole è caldo! Cosa diversa è la valutazione del rischio. Non è ovviamente possibile affermare che il Vesuvio non costituisca alcun pericolo. Prima o poi, il Vesuvio tornerà a far sentire la sua forza naturale ed ineludibile. Solo quando ciò accadrà potremo sapere se la sua manifestazione sarà stata più o meno distruttiva. Ciò che noi abbiamo il dovere di fare è mettere in campo tutti gli strumenti per abbattere i gradi di rischio del territorio. In questo scenario non c’è provvedimento che tenga, a meno che, infatti, non si abbia la forza di proporre per legge una radicale deportazione dei residenti che, nonostante la ciclicità distruttiva manifestata nei secoli dal vulcano campano, sono sempre ritornati alle falde del complesso Somma-Vesuvio. La famigerata legge regionale n°21/03 è stata emanata nel dicembre 2003. Da allora solo nel 2011 sono state apportate alcune leggere modifiche. Tuttavia, la filosofia della legge non cambia. Da un lato non si ha la forza di imporre un allontanamento dai luoghi pericolosi di tutti i residenti, dall’altro non si realizzano le opere necessarie ad aumentare i livelli di sicurezza del territorio. È indubbio riscontrare ad oggi che la legge regionale 21/03 ha clamorosamente fallito i suoi principali obiettivi: mettere al sicuro i territori e salvaguardare vite umane.
Se è vero che non sono state realizzate opere infrastrutturali che avrebbero dovuto innalzare i gradi di sicurezza del territorio, è anche vero che non sono stati attivati tutti quei procedimenti per avviare un sistema virtuoso per coinvolgere risorse private finalizzate alla rigenerazione edilizia ed urbanistica che avrebbe potuto portare i nostri territori ad un livello di sicurezza ambientale più accettabile. Per quanto riguarda le opere pubbliche è incredibile il ritardo operativo con cui si sta procedendo. Dall’emanazione della legge non è stata approvata, finanziata o eseguita un sola opera infrastrutturale, in tutti i nostri territori, che potesse permettere un ragionevole esodo in caso di emergenza. Emblematico potrebbe essere il citare la problematica connessa al cosiddetto intervento per il “raddoppio” della S.S. 268, progetto nato a metà degli anni ’80 che avrebbe potuto trovare nuova linfa ed immediata forza nella emanazione della legge per le zone rosse e che, invece, giace fermo per mancanza di fondi!
Se a questo si aggiunge che, di recente a causa di un tragico incidente, l’altra via d’esodo dei nostri territori, la strada provinciale “162”, è stata per parecchi mesi chiusa, allora si percepisce perfettamente quale assurdo disagio e diseguaglianza vivano i nostri luoghi. Se accadesse una eruzione in caso di blocco di una delle due vie di esodo per il nostro comune cosa accadrebbe ai miei cittadini? Sul versante delle opere private non siamo messi meglio, con l’approvazione della legge, infatti, non si è avviato nessun “volano” virtuoso per la rigenerazione dei luoghi. È il caso di sorvolare sulla assurda previsione di contributo erogato per la trasformazione delle abitazioni in attività ricettive, perché certamente non è questo sperpero di fondi pubblici che aiuta ad innalzare i livelli di sicurezza del territorio. Una casa vecchia e non antica va solo demolita e ricostruita, con tecniche antisismiche e moderne. Per fare ciò bisogna rendere agevole e conveniente tale tipologia di intervento.
Nella redazione del Piano Strategico Operativo erano indicati esattamente tutti questi concetti ed era esplicitamente indicata anche la possibilità di ricorrere alla “premialità” volumetrica che avrebbe reso più conveniente anche per i privati questo tipo di intervento, che come ricaduta avrebbe avviato notevoli vantaggi: case più solide, razionali, efficienti ed, inoltre, messo in moto realmente l’economia locale. Purtroppo dopo anni di colpevole blocco del settore edile, peraltro una volta trainante per le economie locali, si è generata una radicale crisi che ha coinvolto tutta la società civile anastasiana, ma certamente estendibile a tutti i residenti nella zona rossa. In più, la crisi, o meglio il blocco totale dell’edilizia privata, rende assolutamente prossimi allo zero i possibili introiti da oneri con cui l’amministrazione potrebbe finanziare eventuali opere pubbliche quali interventi esiziali per dare legittime risposte alle attese della collettività.
Non possono incassarsi soldi per la non esecuzione di opere private, non vengono approvati i condoni perché la soprintendenza attende l’approvazione del PSO, sono stati ridotti a zero i trasferimenti dagli enti sovraordinati, vengono imposti limiti da parte del cosiddetto “patto di stabilità” interno, in queste condizioni è assolutamente impossibile amministrare gli enti locali. Nessuna attività è stata messa in essere, anche se qualcosa era stato avviato ma, poi, inspiegabilmente bloccato! Per il comune di Sant’Anastasia erano stati previsti interventi di natura pubblica pari a circa 11.000.000,00 di EURO per opere di mitigazione ambientali specificamente connesse al rischio idrogeologico, un 1.000.000,00 di € per il rischio idraulico, in ordine al rischio per la tutela, messa in sicurezza e riqualificazione del patrimonio storico altri 3.600.000,00 €.
Per quanto concerne gli interventi di razionalizzazione, adeguamento e messa in sicurezza delle infrastrutture ai fini del potenziamento delle vie di fuga, la stima del relativo fabbisogno finanziario prevedeva per il comune di Sant’Anastasia un contributo pubblico di 14.000.000,00 €. Mentre per le opere di interventi programmati di tipo puntuale per la rigenerazione e lo sviluppo di elementi caratterizzanti il territorio si prevedeva un contributo pubblico di oltre 18.900.000,00 €. Inoltre, si prevedevano incentivi per la mobilità abitativa, finalizzati al sostegno delle fasce sociali più deboli all’interno dei programmi di tipo diffuso e puntuale, finalizzati a mitigare l’impatto delle operazioni di riconversione del patrimonio abitativo e ad accompagnare i processi di rilocalizzazione all’esterno della Zona Rossa in una prospettiva di esclusiva integrazione con i suddetti programmi. Per questa azione erano previsti 5.330.000,00 €. Riassumendo per la cosiddetta “prima fase” di attuazione del piano strategico operativo per la sola comunità di Sant’Anastasia erano previsti circa 64 milioni di euro! A fronte degli oltre 800 milioni previsti per tutti i diciotto comuni della zona rossa.
Ad oggi, non è stato neanche approvato dalla regione il PSO che la provincia ha adottato con delibera di consiglio n° 99 del 29 ottobre 2007. Per questo come Sindaco della mia comunità ho diffidato l’allora Governatore della Regione, e per continuità nell’inadempienza, anche l’attuale. Di recente è stato aggiornato il piano di sicurezza derivante dal rischio vulcanico introducendo alcune sostanziali modifiche. Alcune da me sempre sostenute, in ordine al ridisegno dei confini della zona rossa. La grande novità che finalmente viene introdotta dalle nuove perimetrazioni del zona rossa è costituita dal fatto che le amministrazioni locali possono richiedere di rivedere i confini della stessa anche diversamente dai confini amministrativi.
I singoli Comuni, d’intesa con la Regione Campania, potranno proporre per i propri territori confini della nuova “zona rossa” diversi dai limiti amministrativi, mai, però, inferiori rispetto alla delimitazione prevista per la zona esposta all’invasione di flussi piroclastici. Per fare questo dovranno dimostrare di essere in grado di gestire evacuazioni parziali delle proprie comunità e, nelle aree a rischio crolli, di aver rafforzato le coperture degli edifici vulnerabili esposti alla ricaduta di ceneri e lapilli. Ora però, per poter gestire al meglio le evacuazioni delle proprie comunità e per poter rafforzare le coperture degli edifici vulnerabili, è necessario prevedere idonee risorse da parte degli organismi sovra-ordinati che possano permettere la esecuzione, da un lato, delle infrastrutture e, dall’altro, per fornire contributi ai soggetti che decidano di intervenire sui propri immobili. Senza risorse pubbliche certe, ma anche senza definizioni chiare in ordine alle possibilità operative nelle aree vesuviane, la redazione degli strumenti urbanistici comunali è praticamente impossibile, o quantomeno inutile! Per questo assume vitale importanza accelerare, per la definizione di chiare azioni di sviluppo per i territori soggetti al pericolo del Vesuvio”.