Per molti è semplicemente ’a pastiera, deliziosa torta di pasta frolla farcita con impasto a base di ricotta, frutta candita e grano bollito nel latte. Ma quella sfoglia croccante e il ripieno morbido custodiscono una tradizione, tutta napoletana, in cui si incrociano saghe familiari e scuola pasticcera. La scorsa settimana, incuriosito dalle fasi preparatorie di alcune massaie vicino casa, mi sono fatto prendere per la gola. Quello che vi propongo è il sunto di una squisita mattinata volta a scoprire i segreti di questo dolce.

Cominciamo dalla leggenda. Si narra che la sirena Partenope, incantata dalla bellezza del golfo, avesse fissato lì la propria dimora, tanto da emergere dalle acque ogni primavera per allietare i napoletani con i suoi canti. Proprio loro, per ringraziarla, decisero di offrirle quanto di più prezioso avessero. Sette fra le più belle fanciulle furono incaricate di consegnare i doni alla bella Partenope: la farina (forza e ricchezza della campagna), la ricotta (omaggio di pastori e pecorelle), le uova (simbolo della vita che sempre si rinnova), il grano tenero bollito nel latte (a prova dei due regni della natura), l’acqua di fiori d’arancio (perché anche i profumi della terra solevano rendere omaggio), le spezie (in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo) e, infine, lo zucchero (per esprimere l’ineffabile dolcezza profusa dal canto). La sirena, felice per tanti doni, si inabissò per fare ritorno alla sua residenza cristallina e depose le offerte ai piedi degli Dei. Questi riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti trasformandoli, così, nella prima pastiera. Della mitologia.

Ma veniamo alle altre versioni. Due, per l’esattezza. C’è chi sostiene che l’idea sia stata partorita nella pace segreta di un monastero. Un’ignota suora volle che in questo dolce la simbologia della Resurrezione si unisse al profumo dei fiori d’arancio del giardino conventuale. Alla bianca ricotta mescolò una manciata di grano, uova, acqua di mille fiori, cedro e spezie aromatiche venute dall’Asia. E c’è anche chi è pronto a giurare che il tutto si debba alle mogli di alcuni pescatori che, nella notte, lasciavano delle ceste con gli ingredienti della pastiera come offerte al «mare», affinché lasciasse tornare i loro mariti sani e salvi. E al mattino, ritornate in spiaggia per abbracciare i loro sposi, si accorsero che le onde avevano mescolato tutti gli ingredienti dando vita alla torta.

Quale sarà la vera origine della pastiera? Questo non è dato saperlo, anche se le notizie relative all’«invenzione» della suora appaiono più attendibili. Certo è che questo dolce, con il suo gusto classico poco zuccherino e rinfrescato dai fiori d’arancio, accompagnava le antiche feste pagane per celebrare il ritorno della Primavera. Comunque sia andata oggi sulla tavola pasquale dei napoletani ’a pastiera non può mancare.

Torniamo alle nostre massaie. Gli ingredienti sono quasi amalgamati. Da diversi minuti stanno lavorando la pasta pressandola. «Andremo avanti fino a quando il colore sarà diventato uniforme, la pasta frolla non va lavorata troppo altrimenti perde la friabilità», dicono. Poi bisogna far riposare l’impasto almeno mezz’ora coperto da un tovagliolo bagnato e strizzato.

Passa il tempo, forse ci siamo. Osservo. Si versa il composto di ricotta nella teglia, si ripiegano verso l’interno i bordi della pasta e si decora il tutto con delle strisce di pasta che forma una grata. Qualche  pennellata con un tuorlo sbattuto e il gioco è fatto. S’inforna. La signora Concetta dice che «la pastiera sarà cotta quando avrà preso un colore ambra, poi si deve lasciare raffreddare e, prima di servirla, va spolverata di zucchero a velo».

Qui se ne preparano molte di più di quelle necessarie e si lasciano riposare a temperatura ambiente (è importante lasciare il ripieno umido) per poi essere donate a parenti, vicini di casa e amici per strappare un sorriso anche a quelli che appaiono più austeri. «Che c’entra il sorriso con la pastiera?» direte. C’entra, c’entra. Pensate che la regina Maria Teresa d’Austria, moglie di Ferdinando II di Borbone, donna di difficili entusiasmi, dopo aver assaggiato una fetta di Pastiera sorrise per la prima volta in pubblico. Tanto che il Sovrano si fece scappare la battuta: «per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo».

Insomma, questo dolce pasquale riesce ad unire antico e moderno in qualcosa di unico. Che dite, assaggiamo?

Pasquale Iorio >>> auguri di buona pasqua >>> a domenica prox