Il suicidio è un tema che accompagna da sempre l’uomo nella sua storia personale e sociale. Nello scorso articolo ci siamo soffermati ad osservare tale gesto in termini soprattutto cognitivi e come atto di forte disregolazione emozionale.

Il progressivo aumento di suicidi negli adolescenti, recentemente è stato dalla comunità visto come un evento allarmante e preoccupante. Tale esperienza non solo testimonia le difficoltà incontrate dal ragazzo/a durante il suo percorso di identificazione e di emancipazione, ma esprime anche un disagio dell’intera società in cui è forte la difficoltà a comunicare valori e significati esistenziali e di fornire gli strumenti necessari per il costituirsi di un senso d’identità solido e forte purtroppo perché presi da valori estetici, economici, tecnologici senza guardarsi ed esplorare veramente se stessi.

Il suicidio ha mille sfaccettature di significati e in genere si realizza in un contesto di delusione e può essere anche inteso come un progetto inconscio, in cui attraverso l’autodistruzione, la persona vuole creare uno stato in cui ogni bisogno è soddisfatto e ogni frustrazione assente. Attraverso la morte si sta fuggendo da una situazione sentita come insopportabile; si verifica dopo un lutto di una persona cara, di un elemento della personalità o del proprio modello di vita; come vendetta per provocare il rimorso altrui sia per infliggergli l’infamia della comunità; come ordalia o gioco: rischiare la propria vita per mettere alla prova se stesso. Ma al di là di tali motivi, nella loro profondità ci sono bisogni esistenziali primari che non sono stati soddisfatti quali l’ascolto, la comprensione, l’amore, l’accoglienza, e il sostegno nelle loro personali problematiche.

Per gli adolescenti o anche per gli adulti la morte sembra la soluzione migliore alle loro sofferenze; se solo potessero aspettare un altro momento, scoprirebbero nuove modalità risolutive ai loro dolori. Sono illuminanti quei casi di persone, anche famose, che in un momento di disperazione, avevano tentato di farla finita con la loro vita e che, non essendoci riuscitici, dopo hanno benedetto quel momento perché mai e poi mai l’avrebbero ripetuto.

Anche se non esiste una profonda depressione, emerge una propria aridità e incapacità di innamorarsi della vita e questo vuoto viene accettato come emblema del suo esistere. La morte giungerebbe come ad eliminare questo senso di svuotamento totale.

Svuotamento degli stessi familiari: un loro primo sentimento è il senso di colpa per quello che avrebbero potuto fare/non fare, o per quello che avrebbero dovuto fare/non fare. Allo stesso tempo è forte sì la tristezza ma anche la rabbia per quello che ha fatto, per non aver parlato…e a volte si può insinuare anche  un senso di vergogna nei riguardi della percezione dei vicini di casa e del loro giudizio.

Ci si sente complice indiretto dell’atto e ci si trova a dover gestire il fiume di domande che ineluttabilmente ci assalgono nella mente.

Se solo avessi…

Andare a cercare i veri motivi dell’atto suicidario è forviante e poco rassicurante per il familiare, perché rimane sempre il dubbio di quello che si sarebbe potuto fare e che non si è fatto, tormentandosi in continuazione e attribuendo ogni litigio, incomprensione, comportamenti, quale fattore precipitante del gesto fatale. Gli rimane un senso di impotenza e di diffusa tristezza per quanto successo.

In simili casi è opportuno seguire una psicoterapia per elaborare il lutto familiare, la  perdita affettiva, l’emergere dei sensi di colpa, onde evitare di protrarre per anni una vita pesante e angosciante quasi in bilico tra la vita e la morte e rischiando loro stessi di attuare più che un suicidio fisico, un suicidio psicologico.
“La morte non è niente, io sono solo andato nella stanza accanto.
Io sono io. Voi siete voi. Ciò che ero per voi lo sono sempre.
Datemi il nome che mi avete sempre dato.
Parlatemi come mi avete sempre parlato.
Non usate mai un tono diverso. Non abbiate un’aria solenne o triste
Continuate a ridere di ciò che ci faceva ridere insieme.
Sorridete, pensate a me, pregate per me.
Che il mio nome sia pronunciato in casa come lo è sempre stato.
Senza alcuna enfasi, senza alcuna ombra di tristezza.
La vita ha il significato di sempre. Il filo non è spezzato.
Perchè dovrei essere fuori dai vostri pensieri?
Semplicemente perchè sono fuori dalla vostra vista?
Io non sono lontano, sono solo dall’altro lato del cammino”.
Charles Peguy