Nei giorni scorsi ho firmato la postfazione alla biografia inedita di Pasquale Ponzillo, eclettico poeta-pompiere del secolo scorso. È l’ultima fatica letteraria di Ciro Daniele, da decenni studioso della canzone partenopea, edita con il patrocino della RAI – archivio sonoro della canzone napoletana. La prefazione è di Pietro Damiano, biografo dell’apprezzato musicista carbonarese Gennaro Rainone. Un interessante spaccato della quotidianità napoletana che passa attraverso i versi e le melodie di un personaggio tutto da scoprire. Il libro sarà presentato al pubblico nelle prossime settimane. Ripropongo qui il mio scritto. La rete è strana, può passare il lettore giusto da un momento all’altro.
Poeta-pompiere o pompiere-poeta? Come potremmo definire Pasquale Ponzillo? La differenza è molto sottile se, per un attimo, mettiamo da parte un pensiero diffuso: quello secondo cui la poesia non trova spazio nell’animo di persone dedite a lavori materiali. Leggendo il libro, infatti, ci si rende conto del contrario. Sono proprio le grandi esperienze di vita a costituire un patrimonio degno di essere condiviso.
Certo non fu un letterato di professione, ma il carattere popolare dei suoi componimenti si fece subito apprezzare. Tant’è che, quando le sue poesie apparvero su una rivista firmate «Pasquale Ponzillo, pompiere», furono in molti a non credere che si trattasse veramente della sua professione. Il segreto di quei versi? Essere mossi dalla passione. Li pensava, li improvvisava e li dettava ad un caporale affinché glieli trascrivesse. Si, avete letto bene, il nostro poeta-pompiere non sapeva scrivere. Non c’è da meravigliarsi. Del resto buona parte delle cose di successo è nata da grandi passioni. Senza passione non si fa nulla.
L’innamorato che fa mille chilometri per baciare la sua amata non è un folle, ma un saggio, perché ha capito che l’amore è darsi totalmente. Ma senza una meta, senza un progetto, senza la guida della volontà, il fuoco della passione diventa cenere. E questo è senz’altro il problema educativo della nostra epoca. Beh, molti penseranno che il fuoco sia l’elemento che possiede forza distruttiva concepita come strumento di rinascita in una forma superiore. Ne è un esempio la fenice che, quando intuiva prossima la fine, costruiva un nido esposto ai raggi del sole perché bruciasse insieme a lei: dal cumulo di cenere emergeva poi un nuovo piccolo uccello che, rapidamente, diveniva radioso e potente. Oggi è, però, necessario accendere e conservare nei giovani la passione, dar loro una meta, una disciplina, trasformarla in vocazione. E in questa direzione Ponzillo rappresenta senz’altro un modello da seguire.
Il merito di aver portato alla luce questo poliedrico poeta-pompiere di fine secolo decimonono va alla caparbietà di un ricercatore, Ciro Daniele, che da decenni studia i protagonisti della canzone napoletana. Attraverso una lunga ricerca archivistica su documenti, giornali e fotografie d’epoca, compiuta con grande passione, la pubblicistica dei personaggi della Napoli d’altri tempi si arricchisce di un prezioso volume.
Dicevamo di un esempio da tenere come punto di riferimento. Per capire meglio il senso di quest’affermazione mi piace condividere la riflessione di Raffaele Parisi, giornalista e storiografo di Napoli, conosciuto per la sua caratteristica rivista settimanale La lega del bene. «Un giorno si presentò a me un giovinetto con in mano un foglietto. Era Pasquale Ponzillo. Vestiva la divisa dei pompieri e quel piccolo pezzo di carta conteneva una breve poesia scritta ad orecchio senza la benché minima regola di grammatica. Ma i pochi versi racchiudevano un pensiero in ciascun rigo. Nell’insieme era armonia. E sebbene l’autore non sapesse delineare le lettere dell’alfabeto era, di fatto, un poeta. Egli, senza saperlo, avvalorava una mia tesi: ogni figlio di padre e di madre napoletani può esprimere in versi quel che pensa. Ora Ponzillo scrive da sé, ed in buona grafia, i suoi versi. Questi gli fecero sentire il bisogno di avere la mano obbediente all’idea tanto da prendere un maestro e divenire, in seguito, caporale. Salirebbe molto più in su, se gli incendi potessero spegnersi coi versi. La poesia di Ponzillo, migliorata calligraficamente, è la stessa dei suoi primi tentativi. Non ha variato ed è stato un bene; se lo avesse fatto non sarebbe più Ponzillo, sarebbe come gli altri, semplicemente uno in più. La sua poesia non passa mai i venti versi, spesso si limita a due quartine; ma quegli otto versi hanno un’idea e la completano tutta. È un fenomeno curioso che depone meravigliosamente in favore della poesia nata prima dell’esistenza dei poeti e della letteratura. Ponzillo dunque è nato poeta e l’arte non ha influito che nella sua parte materiale, non nei versi, ma semplicemente nella disposizione di questi sulla carta».
Parlavamo di un mestiere ad alto impatto emotivo – quello del vigile del fuoco – una delle professioni che, però, danno più felicità. Ebbene si, stando a quanto emerso da un sondaggio realizzato da esperti dell’Università di Chicago, i cui risultati sono stati poi pubblicati sulla rivista Forbes, le occupazioni capaci di rendere davvero felici chi le svolge sono principalmente due: il sacerdote o, in seconda alternativa, il pompiere. Questo, sia chiaro, non significa siano professioni «semplici», o più remunerate di altre. Aiutare il prossimo in situazioni di estrema difficoltà rende molto soddisfatti ed orgogliosi del proprio operato, tant’è che l’ottanta per cento di coloro che fanno i pompieri sono entusiasti per quel che fanno.
Coraggio, forza, prontezza di riflessi, bontà d’animo, imbattibilità. Così si possono descrivere i sintomi della malattia che colpisce i nostri vigili del fuoco e da cui, ciascuno di loro, spera di non guarire mai perché pervaso da un indomabile istinto di aiutare chi è in difficoltà. Proprio come Ponzillo. Sempre in ansia e con l’orecchio teso per udire il trillo della campana, la «sua» campana che, come il richiamo di una bellissima sirena ammaliatrice, lo fa correre verso ogni dove, pronto a qualunque sacrificio, pur di alleviare sofferenze o portare in salvo chi poi lo ricompenserà anche solo con un sorriso. A volte basta davvero poco.
Le storie contenute nei versi del nostro poeta-pompiere sono tante. L’una diversa dall’altra. Ma unite da un unico comune denominatore. Storie che ci costruiscono, ci arricchiscono, ci fanno capire il senso della vita che scorre veloce. Ci sono anche vicende che all’inizio illudono e quando credi di avercela fatta il destino, beffardo, ti si rivolta contro e ti mette kappaò. Proprio come un pugile al tappeto. E, cosa incomprensibile, non sai neanche da che parte è arrivato il colpo. Diventi impotente, furioso. Non c’è gesto, pensiero, che possa farti accettare la sconfitta. Tutto quello che può essere distrutto dal fuoco, dall’acqua o da qualsiasi altra causa lo puoi ricostruire. Ma una vita no. Se il destino ti illude e poi ti beffa, i pompieri non possono e non vogliono accettarlo. Ed è da questa voglia di rivincita e di vittoria contro le avversità che loro traggono la forza per correre sempre più velocemente verso chi ha bisogno. Loro vogliono che sia così. E che continui a rimanere così.
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