Uno stato d’animo, un modo di essere, un corto circuito ideale tra musica, cinema, letteratura, performing arts, teatro, arte visiva e creatività in genere. Napoli, Palazzo delle Arti: mostra-evento sul rock. Sono quasi le dieci di una domenica sonnacchiosa quando comincio a salire i gradini in pietra lavica del Pan, luogo dei linguaggi del contemporaneo.
Entro in una sala enorme. Qui si celebra il mito di Jimi Hendrix, il famoso musicista di Seattle che, lo scorso anno, avrebbe compiuto settanta primavere. Rarità, dischi, autografi. C’è anche un biglietto di Woodstock non annullato che rimanda a quando allo storico festival (si tenne nello stato di New York nel 1969) accorsero così tante persone, che non fu più possibile far pagare l’ingresso. Col naso all’insù guardo una serie di chitarre elettriche tirate a lucido e invase da memorabilia. Il pezzo forte lo noto subito: una Fender Stratocaster del 1954, la numero 405 al mondo.
A completare la sezione americana ci pensa una carrellata su Bruce Springsteen che indaga il rapporto del «boss» di New Jersey con le sue storie e il cinema, in attesa del suo prossimo concerto che si terrà il 23 maggio in piazza del Plebiscito. Curiosando tra i pannelli che ti scopro? Le sue origini napoletane. Si, avete letto bene. Dopo mesi di ricerche sulla famiglia Zerilli – alla quale appartiene Adele, la madre di Bruce – si può affermare con certezza che nelle vene di Springsteen scorre sangue napoletano. Infatti il suo nonno materno, Antonio, era nato a Vico Equense.
Dal sapore universale lo spazio dedicato a Paul Whitehead, che ha firmato leggendarie copertine dei Genesis. Mondi visionari esposti in quadri intelaiati che raccontano degli album Trespass, Nursery Crime e Foxtrot. Arte e musica si fondono, non solo all’estero, ma anche in Italia. Ecco quindi esposte dieci illustrazioni di Guido Crepax. Scavando negli archivi, la fondazione Bideri, ha ripescato delle copertine, firmate dal papà di Valentina, per Peppino Di Capri, Massimo Ranieri, Renato Carosone. In vetrina anche dodici tavole a colori dell’altro maestro fumettista, Moebius, ispirate a Jimi Hendrix.
In una saletta piccola c’è addirittura l’urban crosser elettrico della Renault: Twizy. Come diavolo avranno fatto a portarlo al primo piano di questo palazzo? Una gru? «L’abbiam portato su per le scale: è stata una faticaccia, ma ne è valsa la pena» mi dice un signore con i baffi che fa parte della squadra tecnica. Insomma, il quadriciclo francese è diventato un rockettaro, a lui il compito di accompagnare i visitatori in questo itinerario visivo in nove tappe. Del resto il mondo del rock celebra velocità, automobili e mito del viaggio.
Cammino a fianco dei Beatles. Osservo le pose dei Rolling Stones, passando per David Bowie, ZZ Top, U2, Pink Floyd e molti altri. Più in là c’è anche la sezione Moog con alcuni modelli di sintetizzatori realizzati nell’arco di questo mezzo secolo che ci separa dalla loro nascita. Ma non è tutto. L’area The Sound of Music propone la storia e l’evoluzione dei supporti che hanno favorito la diffusione della musica al grande pubblico: dalla bobina del 1930 al cd del 2002.
«Perché Napoli è una canzone, una canzone rock!». Questa scritta mi anticipa un percorso celebrativo di personaggi del calibro di Pino Daniele e Mario Musella che, oltre ad essere la più grande esposizione completa e non ancora realizzata in Italia, contiene anche tantissimi oggetti tra cui gadget, fotografie, manifesti d’epoca e rarità di ogni genere.
Prima di uscire guardo il biglietto d’ingresso (gratuito) : reca il numero 7164. Chi l’ha detto che il rock è morto? O, peggio, che il suo vuoto si scioglie nella dispersione di cuffiette, download e condivisioni social. Forse aveva ragione Neil Young a cantare Rock ‘n roll can never die, il rock non può mai morire. Soprattutto perché, al di là dal genere musicale, è un modo di vivere e di guardare al mondo. E la mostra allestita da Carmine Aymone e Michelangelo Iossa vibra esattamente su queste corde.
Pasquale Iorio >>> seguimi su Fb >>> appuntamento a domenica 24