In questo percorso di ricerca nella Valle del Sarno bisogna tener conto di alcune sue caratteristiche particolari, che hanno condizionato  fin dagli albori la frequentazione umana del territorio in questione e ancora la influenzano pesantemente.

Il vulcanesimo è una delle manifestazioni così caratteristiche di questa zona, che appare impossibile ignorarne l’influenza non solo sulla formazione del territorio così come lo conosciamo, ma anche sulla conservazione di importantissimi siti archeologici relativi ad epoche molto diverse fra loro e sulla formazione di miti potenti quanto la stessa natura del territorio cui si riferiscono.A tale proposito  Stefano De Caro precisa: “Non poche sono le difficoltà che si oppongono nella regione alla ricerca archeologica preistorica; soprattutto i grandiosi fenomeni vulcanici che dalle più lontane ere geologiche costituiscono la principale caratteristica geomorfologia di questo territorio e che spesso hanno sepolto sotto metri e metri di scorie i più antichi giacimenti archeologici; talché molto di rado si è avuta la possibilità di procedere a rinvenimenti scientificamente controllati.”[1]

Anche in questa Valle, quindi, storia, archeologia e vulcanologia sono strettamente correlate fra loro,  tanto che appare difficile trovare luoghi nel mondo così frequentati nel presente e  ancora estremamente pregni della vita passata, così com’è testimoniato dalle continue, stupefacenti scoperte, dove intere città e villaggi sono state distrutti o conservati da terribili, successive eruzioni vulcaniche. Il mare, oltre alla naturale via d’acqua costituita dal fiume Sarno, è l’altra dimensione geografica importantissima della Valle, con grandi conseguenze sull’economia, sulla cultura, sull’immaginario collettivo:“superficieditrasporto”(Braudel), spazio-movimento, occasione di commerci e scambifin dalla più remotaantichità, come dimostrano le ceramiche greche, le ambre baltiche o siciliane, gli amuleti orientali, l’ossidiana eoliana o di Palmarola ritrovati nei siti archeologici vallivi.

Infatti, le zone rivierasche sono sempre  luoghi privilegiati di incontri di popoli,  in cui è facile scambiare i metalli, le ceramiche o le altre merci ricercate, ma anche  zone di transito e di scambi di tecniche, di cultura, di tradizioni, di miti, di riti. E l’Italia, ricca di rame, ma povera di stagno (necessario per poter creare il bronzo), era interessata e partecipe ad una serie di relazioni di livello nord-europeo e mediterraneo, una vasta rete di scambi che andava molto al di là del nostro Paese, i cui echi si risentivano anche nel nostro territorio.

Luogo di  scambi e di incontri, dove natura e cultura rivaleggiano in espressività e particolarismi, è proprio qui, dove tutto appare possibile, che  a volte si aprono squarci sulla storia antichissima del territorio, arricchita dall’apporto dei popoli più lontani e diversi fra loro. Squarci che costituiscono veri e propri  affreschi di una umanità profonda, che restituiscono il senso nascosto di una quotidianità solo apparentemente diversa, in realtà sempre simile a se stessa per millenni. Non a caso Pierfrancesco Talamo sottolinea come “Un quadro meno slegato e più organico si delinea nel golfo di Napoli a partire dall’Età del Bronzo. La facies di Palma Campania, peculiare del Bronzo Antico della Campania, è ben rappresentata in tutto il golfo e nel suo entroterra (Palma Campania, Sarno, Sant’Abbondio a Pompei, Frattaminore, Gricignano, Acerra)”.[2]

Gli fa eco Renato Peroni, che nota come in Campania non si percepisca quella cesura fra Bronzo Antico e Medio, netta altrove, poiché molte forme vascolari derivano da quelle della facies di Palma Campania. Infatti, in un breve  saggio sulla protostoria campana lo studioso avanza l’ipotesi che la formazione della facies appenninica abbia avuto la sua sede proprio in Campania. Gli insediamenti umani relativi al Bronzo Medio, che ancora una volta sono a Sarno, ma anche a Pompei e a Poggiomarino,  avevano diverse forme di economia: innanzitutto pastorale, ma anche agricola, e forme miste in cui si praticava estesamente il commercio.

Continua l’utilizzo della pietra  più raffinata, per la realizzazione di armi e utensili vari, mentre la produzione ceramica è sempre più sviluppata. L’impatto ambientale  è sempre più marcato e reso necessario dall’adozione compiuta dell’agricoltura, che ormai supera le necessità della mera sussistenza, riuscendo a creare eccedenze agricole. La necropoli di eccezionale importanza ritrovata a Sant’Abbondio, presso  Pompei,  ha restituito deposizioni in fosse con una copertura di ciottoli, tufo o scaglie di lava, con defunti sepolti in posizione rannicchiata.

Il materiale relativo è presente nello stupendo Museo Archeologico di Napoli, insieme ad alti interessantissimi materiali  reperiti in scavi fortuiti nella Valle e facente parte della ricca collezione preistorica napoletana. Nel caso di Pompei l’occupazione di uno spazio in prossimità del mare evidenzia l’inizio dell’occupazione di una fascia costiera che avrebbe permesso poi lo sviluppo di relazioni commerciali stabili con l’intero Mediterraneo e i popoli che in esso viaggiavano. E’ in un siffatto quadro del Bronzo Medio-Finale che nasce l’eccezionale insediamento di Longola, presso Poggiomarino, in un paesaggio lagunare, nato dalle pigre anse del fiume Sarno e costituito con una tecnica particolare: isolotti artificiali ricavati per bonifica stratificata.

Il Villaggio di Longola e altri abitati indiziati a S. Marzano sul Sarno (località Zecchignoli)[3] e a Striano (Affrontata dello Specchio), smentiscono chi vedeva le comunità indigene  incapaci di una simile organizzazione del territorio e le ipotesi che volevano i villaggi della Valle del Sarno costruiti in posizioni elevate.

Ma questa è ancora un’altra storia, che ci interessa molto da vicino e sarà raccontata prossimamente.

[1] Guida al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

[2] Pierfrancesco Talamo-La preistoria del golfo di Napoli- in La collezione preistorica del Museo Archeologico di Napoli.

[3] Vedi “Per l’antichissima storia della Vale del Sarno” ripreso da Guzzo in un suo saggio contenuto  in: “La Campania prima di Pompei- un insediamento protostorico nel Golfo di Napoli”, curata da P.G. Guzzo, C.Cicirelli, C.A. Livadie  ”  e  “La Sarno protourbana e perifluviale dei Sarrasti” Salvatore D’Angelo.