Attesissimo e dalla martoriata genesi produttiva, Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato, sbarca nelle nostre sale in tutto il suo (straripante) 3D. La trama è ambientata prima degli avvenimenti che si svolgono nel successivo romanzo tolkeniano, Il Signore degli Anelli: lo hobbit Bilbo Beggins si unisce alla compagnia guidata dallo stregone Gandalf e dal nano Thorin Scudodiquercia, per riconquistare il regno di Erebor, un tempo dominato dai nani e ricco d’oro, ora covo del temuto drago Smaug. Il viaggio, però, è costellato di pericoli e piccole lezioni di vita.
Quando si ci trova a guardare il primo dei tre capitoli di una nuova trilogia tratta da un romanzo di J.R.R. Tolkien, Lo Hobbit, si ci chiede ben presto come si possa staccare il regista “reale” Peter Jackson, dal regista computerizzato, quello della computer grafica. E ben presto si ci arrende all’evidenza di come il primo, abbia usato in maniera egregia il secondo, per realizzare un film di una visionarietà rara e fuori dagli schemi, con effetti speciali eccezionali, che lasciano davvero ammaliati, quasi a far “respirare” l’aria della Terra di Mezzo, con balzi in lungo e (soprattutto) in largo tra covi di orchi, troll e elfi e campi di battaglia sterminati e affollatissimi.
Poi arriva però la performance dell’attore Andy Serkis, che ancora una volta dà volto (e non solo) a Gollum: tramite una motion capture ancora più precisa e dettagliata, regala a questo personaggio un’umanità incredibile, una follia che si può sfiorare, il personaggio non ha un corpo “reale” (perché esiste solo nel mondo tolkeniano), ma ha un corpo computerizzato, che “recita” al meglio il “suo” dramma interiore.
E allora a chi darla vinta? Al regista “computerizzato” e alle sue visioni o al personaggio che senza l’attore in carne e ossa non avrebbe ragione di esistere? Intanto se da un lato c’è la visionarietà delle riprese del Jackson reale/virtuale, dall’altro lato, c’è una discreta sceneggiatura, scritta, oltre che dal regista stesso, da altri tre autori, tra cui (l’ancora più visionario) Guillermo Del Toro (chiamato in un primo momento a dirigere i primi due film, ma che poi, dopo anni di lavori, bozzetti e riscritture, ha deciso di mollare per mancanza di fondi e beghe con la casa di produzione). La sceneggiatura, infatti, riesce a regalare un pizzico di ritmo in più, spingendosi più verso la commedia e il buon sarcasmo (geniale il personaggio dello stregone “bruno”, sotto gli effetti di erbe allucinogene) visto che l’unico ritmo, frenetico e (fin troppo) caotico, regalato dalla pellicola, è quello degli scontri tra la compagnia di nani e le creature che popolano la Terra di Mezzo.
Tutto però svuotato di emozioni: la pellicola sembra infatti un susseguirsi inutile di combattimenti, si freme nell’attesa di vedere la prossima battaglia, tra schizzi di sangue e teste mozzate. Ultimo punto cardine: la colonna sonora. Howard Shore, dopo aver fatto un lavoro egregio nella prima trilogia, si ripete magistralmente, raggiungendo l’apice non solo nelle liriche che accompagnano i momenti più caotici del film, dove le musiche sembrano invece opporsi a questo “brodo” visivo, ma soprattutto nella evocativa Misty Mountains, cantata dal gruppo di attori che compongono la compagnia dei nani. Ecco uno dei punti dolenti: gli attori. Se da un lato ci sono i vecchi volti del Signore degli Anelli, come Gandalf (doppiato da uno straordinario Gigi Proietti), il re degli Elfi e tanti altri, i nuovi acquisti lasciano al make up la loro comunicabilità. Conciati come alle feste di Halloween sono la caricatura di loro stessi, pensati dal regista come ognuno diverso dall’altro, in realtà sono fin troppo diversi e (troppo) numerosi per lasciare uscire nel (già lungo) film un minimo di personalità (da loro va esclusa la performance di Andy Serkis già citata).
Lo stesso Martin Freeman, che impersona Bilbo Beggins, sa di già visto, impacciato, quasi insicuro, troppo simile all’hobbit di Frodo. Un soggetto straordinario quindi (il romanzo tolkeniano), rimodellato a figura di Jackson, che vorrebbe fare il prequel de Il Signore degli Anelli, ma in realtà ne fa una copia (remake?) quasi fotostatica (e ci si passi il gioco di parole con la “visione” del film, in 3D e girato a velocità raddoppiata, 48 fps): una compagnia di (piccoli) eroi parte per una meta. Qualunque essa sia (Erebor/Mordor) ci saranno comunque enormi schiere di orchi, goblin, draghi da combattere e lande desolate da attraversare, per perdersi (alla fine del La compagnia dell’anello e alla fine di questo primo Hobbit), con lo sguardo verso l’orizzonte, verso i prossimi due episodi, che altro non faranno la gioia non solo dei fan della saga, ma anche di chi si è perso tra le visionarietà di un paesaggio in Computer Grafica. Pronti per il secondo capitolo (sperando non si rifaccia a Le due torri…)?