Alice (Paola Cortellesi), dopo la morte del ricchissimo marito, si ritrova sommersa di debiti. Per evitare conseguenze e aiutare suo figlio, decide, dopo centinaia di tentativi lavorativi, di iniziare a fare la escort. Sfrattata dalla villa in cui viveva, si trasferisce in un borgata, dove incontra l’amore di Giulio (Raoul Bova). La verità verrà a galla, ma il lieto fine è dietro l’angolo.
Vladimir Propp, linguista russo, metteva in evidenza come la struttura delle fiabe si ripeta sempre uguale, per personaggi e azioni. Questo sembra essere il destino della commedia italiana degli ultimi anni: prevedibilità, sketch comici seguiti da sequenze strappalacrime, finale pacificatore. Il regista di questa nuova (poco originale) commedia Nessuno mi può giudicare, Massimiliano Bruno (sceneggiatore di Fausto Brizzi), è per lo più assente: la macchina da presa non fa altro che “raccontare”, restando sempre alla sua funzione classica, la vicenda. Il film ci fa (tristemente) riflettere su come cambia la comicità italiana: un tempo (Totò, Troisi, Verdone…) si rideva perché si “alludeva” a qualcosa, senza volgarità. Oggi, invece, il cattivo gusto dilagante dei film (verbale, gestuale e “corporale”) è un pretesto per farci sorridere (poco). Ma è uno spettacolo “medialmente” comune: il corpo, quasi totalmente nudo ormai, è strumento di diletto. Paola Cortellesi e Rocco Papaleo (antitesi e medaglie opposte di due sistemi comunitari diversi) sono fantastici, riuscendo a reggere sulle loro spalle, un film dalla sceneggiatura senza mordente e pochissimo ritmo. Il mondo dipinto dalla pellicola è surreale: solo nei quartieri popolari risiede ancora la “bontà” d’animo delle persone, figure macchiettistiche (irreali) di borgatari, in un mondo di volemose bene anche se sei diverso.
Nel titolo, quindi, c’è forse il messaggio? Mai fermarsi alle apparenze, non c’è diversità di razza, lavoro, modo di vivere: dobbiamo rispettare e farci rispettare per ciò che (semplicemente) siamo. Due osservazioni però: la prima riguarda la “satira” (forzata) sull’Italiano medio: dalle perversioni sessuali più estreme, che ripetute in vari sketch, finiscono, però, per stancare; ai politici che fanno rientrare le escort nella finanziaria. Più interessante ancora la tematica dell’incredibile influenza di Internet nel mondo del mercato dell’eros. La protagonista, infatti, si registrerà (con una preoccupante facilità) su un sito di appuntamenti, imbroglierà sul girovita per “attirare la preda”: diventerà un’ “altra” persona, in totale anonimato. Una realtà che l’Italia perbenista fa fatica ad accettare: quante persone fanno quello che fa Alice? Quante volte si sente parlare di ragazze o studentesse che per concedersi l’ultimo abito firmato o per racimolare qualcosa in più dalla paghetta dei genitori si spogliano in webcam? Il messaggio più profondo (ma non tanto) del film che, nonostante tutto, è godibile e con uno spunto che andava sfruttato meglio, è legato alla materialità della quotidianità: staccarsi dagli oggetti (Alice non ci riuscirà mai: terrà fino alla fine le borse di Louis Vuitton) e dal lusso che ci hanno intrappolati, per riscoprire il lato semplice della vita. Provate a giudicarli adesso però.