Emergono nuovi dettagli dall’ordinanza di custodia cautelare emessa a carico di Antonio Cesarano dal giudice per le indagini preliminari Ludovica Mancini per l’omicidio di Nicola Nappo, avvenuto il 9 luglio 2009 in pieno centro di Poggiomarino.
Le premesse del delitto, e del ferimento della ragazza in compagnia della vittima, nascono da un primo scontro tra il clan Giugliano-Fabbrocino ed il clan Sorrentino. Il 21 giugno 2009 a Carmine Amoruso, affiliato dei Giugliano-Fabbrocino che era il reale obiettivo dei sicari, arriva la richiesta di aiuto di un altro affiliato, cui i Sorrentino hanno rivolto minacce perche’ spaccia a Scafati, territorio sotto il loro controllo.
Amoruso, in gruppo, decide di affrontare gli esponenti del clan rivale. Tra questi ultimi c’e’ Sebastiano Sorrentino, unico figlio maschio del capoclan ergastolano Giuseppe. Amoruso lo ferisce seriamente colpendolo alla testa con un crick.
In un escalation di violenza Giovanni Battista Matrone, cognato del ferito, reagisce a sua volta organizzando la spedizione punitiva contro Amoruso ed obbligando Cesarano, suo spacciatore, a fornigli l’auto che servirà per la missione.
A Poggiomarino i sicari sorprendono Nicola Nappo in compagnia di una ragazza che all’epoca dei fatti frequentava Amoruso. Questo dato, unito ad una certa somiglianza fisica tra i due giovani, porta gli assassini a commettere un tragico errore di persona: credono di avere di fronte il loro obbiettivo ed aprono il fuoco. Il resto è storia.
Cesarano, il trentaduenne arrestato per l’omicidio, aveva successivamente denunciato il furto di quell’auto incriminata. A distanza di pochi mesi dal delitto era finito in carcere per spaccio di droga, ed alcuni suoi colloqui con i familiari, le cui trascrizioni sono contenute nel provvedimento di misura cautelare, erano stati intercettati dagli investigatori.
A mezzogiorno dell’11 dicembre 2009 nella sala colloquio di Poggioreale, Cesarano incontra la madre Elena ed il padre Vincenzo.
“Stanno facendo ancora l’indagine della macchina, te lo dico io”, esordisce la donna.
“Quella anni e anni dura quell’indagine”, replica il figlio, conscio del fatto che l’aver coinvolto un innocente nella faida incentiverà il lavoro delle forze dell’ordine.
La madre continua lamentandosi del fatto che il figlio abbia dato proprio quell’auto: “Ti prendevi la mia”.
“Coinvolgevo pure te nelle tarantelle”, la risposta.
“Doveva essere una macchina rubata”, prova a dire il padre ma il figlio, lapidario, lo interrompe: “Purtroppo quando uno sta in mezzo a una strada, la carriera e’ questa”.
Amara la chiusura della madre: “Se non era per la macchina che avevi dato a quello non arrivavano a te… qua si tratta di un omicidio”.