Sul pianeta Krypton tutto sta per finire. Nonostante i tentativi di convincere le alte cariche del pianeta di permettergli di cercare un modo per non far estinguere la specie, lo scienziato Jor-El e sua moglie Lara, decidono di lanciare nello spazio il loro unico figlio, Kal-El, nato da un parto naturale, dopo millenni di inseminazioni controllate dalla società kryptoniana.
Il bimbo viene spedito sulla Terra, dove viene rinvenuto dai Kent, che lo alleveranno come loro figlio, chiamandolo Clark. In realtà Clark è dotato di forze e poteri straordinari. Dopo la morte del padre, alla ricerca di se stesso scoprirà, ormai 33enne, chi, come, quando e perché è stato spedito sul nostro pianeta: è un portatore di cellule della specie kryptoniana, in lui risiede il futuro della sua stirpe. Convinto dal padre, Clark, ribattezzato dagli umani Superman, decide di mettersi dalla parte della Terra per salvarla dal generale Zold, unico superstite, insieme alla sua flotta reazionaria, di Krypton, deciso a uccidere Superman e a trasformare il nostro pianeta in un nuovo mondo per la specie kryptoniana.
Superman, uno dei supereroi dei fumetti più amati di sempre, torna al cinema, con L’uomo d’acciaio, mega produzione americana sotto la regia di Zack Snyder. Il regista con i cinefumetti ci ha preso gusto (ha diretto da Miller, 300 e da Moore, Watchmen), e, sotto l’egida di Christopher Nolan (che qui, oltre a produrre, scrive anche il soggetto della pellicola, quasi a voler “auto sfidarsi” dopo il successo dell’ altro eroe targato DC Comics, Batman, a cui è riuscito a ridare nuova vita e ciclo spettatoriale), dirige non un nuovo capitolo dedicato all’uomo d’acciaio (ci aveva già provato Bryan Singer con il fallimentare Superman Returns), ma un vero e proprio reboot. Fa, cioè, rinascere da zero il mito del superuomo kryptoniano, resettandolo totalmente. Ma forse l’operazione è riuscita soltanto a metà: se visivamente e nell’insieme della trama il film è molto convincente, delude le aspettative per sviluppi narrativi, per sceneggiatura e per interpretazione. Nonostante, infatti, la presenza nel cast di attori di un certo rilievo, restano tutti isolati in ruoli senza quasi un minimo di sviluppo psicologico, il tutto dovuto forse ai grandi intrecci narrativi che la trama fumettistica offre: Russel Crowe (nel ruolo di Jor-El, sembra trovare sempre l’occasione buona per tirare di pugni), Amy Adams (una Loris Lane fin troppo prevedibile), Michael Shannon (è un discreto generale Zold) e Laurence Fishburne (il primo Perry White di colore, anche lui invischiato in una parte a tratti anche comica). Due le eccezioni: lo stesso Superman, interpretato, forse con troppa fisicità, da un comunque bravo Henry Cavill (visto in Immortals e la serie tv I Tudors) e suo padre adottivo, ruolo assegnato ad un convincentissimo Kevin Costner, che riesce a mettere in ombra l’interpretazione di tutti gli altri, emozionando sopra le righe. Purtroppo le trame originali a cui si ispira la pellicola (quelle fumettistiche create da Jerry Siegel e Joe Shuster), vengono riadattate, forse, in maniera altalenante: in tanti, e ce ne sono, non conoscendo la vicenda dei comics a priori, si trovano disorientati, davanti a nomi, luoghi, eventi e azioni ben note, però ai fan dell’uomo d’acciaio. Lentamente, inoltre, lo sviluppo della pellicola segue quello di un perfetto disaster-movie (arrivano gli alieni=devono essere distrutti alias Cloverfield e prodotti simili), non supportato da una sceneggiatura a tratti prevedibilissima e che addirittura, a volte, precipita nel ridicolo gratuito, nonostante fosse scritta da David S. Goyer, l’uomo dietro al successo della saga de Il cavaliere oscuro e che sembra essere specializzato nei reboot, visto che è al lavoro su quello di Godzilla, già in fase di realizzazione.
Gli spunti interessanti, oltre alla colonna sonora (straordinario il brano Seasons, di Chris Cornell dei Soundgarden) e alla buona fotografia di Amir Mokri, arrivano dal tocco del regista (probabilmente sotto l’attenta guida di Nolan) nel narrare la vita terrena di Clark, attraverso l’utilizzo attento di continui flashbacks, riportandolo indietro alla vita con il padre adottivo, in sequenze meno ricercate dal punto di vista degli effetti speciali, ma sicuramente filtrate attraverso un certo gusto “intimista”, che è come se regalassero un mini film in un altro, mostrandoci un Superman sicuramente più “umano” rispetto a quelli già visti sul grande schermo. In effetti L’uomo d’acciaio è proprio questo: la continua ricerca della precisa differenza tra il Bene e il Male assoluti, nella continua incertezza di cosa sia l’uno e cosa l’altro, nonostante, e soprattutto, si vestano i panni di un supereroe, capace di fare cose che potrebbero influenzare in maniera assolutamente inedita gli sviluppi del genere umano. Il difficile non è essere un supereroe (discorso pienamente sviluppato ne Il cavaliere oscuro) ma di come si scelga la propria strada, il proprio destino, influenzando quello di milioni di persone. Nonostante gli intoppi, le metafore dirette sul “diverso” (metaforicamente Superman è “l’altro”, il “non” americano, il Nemico che deve essere rivalutato, servendo così una buona dose di politically correct) e comunque l’eccessiva lunghezza (142 minuti), il film convince, regalando momenti di puro divertimento visivo.
La Computer Graphic (il film è pensato per le sale Imax e la proiezione in 3D) raggiunge livelli davvero eccezionali, non solo per le sequenze “da fermo” e panoramiche, ma anche, e soprattutto, in quelle di lotta (a volte, forse, spinte all’eccesso), dove, all’ottimo lavoro svolto sul visivo, si aggiunge un uso eccessivo (quasi da videoclip) dello zoom, che regala velocità alle sequenze con grandi masse. L’uomo d’acciaio resta, infine, una pellicola che accontenta non solo i fan, ma anche i primi che si accostano al mondo incredibile di Superman: costato 225 milioni di dollari, in pochissimi giorni ne ha incassato quasi il doppio. L’uomo d’acciaio 2 è già stato annunciato: con un successo così, era inevitabile e nemmeno Superman in persona avrebbe potuto fare meglio.