Genitori alle prese con bambini “difficili”, che percepiscono l’inefficacia del loro modello educativo, stanchi e impotenti di fronte alle innumerevoli problematiche che il proprio figlio incontra nel contesto scolastico, a casa, nel gruppo dei pari e con se stessi.

Ogni genitore ha una modalità specifica di relazionarsi con i propri figli in termini di atteggiamento, regole, comunicazione, tono della voce che influisce sulla formazione della personalità, sull’autonomia, sull’autostima, sulle relazioni sociali e sulla sua crescita affettiva.

Un adeguato stile educativo dovrebbe essere coerente, ovvero dare risposte sempre simili per comportamenti simili. Ad esempio, un bambino che strappa dalle mani del fratellino un gioco andrà sempre sgridato, altrimenti, se a volte viene sgridato (“ridai subito il gioco a tuo fratello!”), a volte trattato con indifferenza (nessuna reazione da parte dei genitori), a volte riceve attenzioni (“ma guarda che furbetto!”), potrebbe andare in confusione e non sapere se sta sbagliando o no.

Un presupposto teorico importante per capire il proprio stile educativo è la teoria dell’attaccamento di Bowlby J. che sostiene la presenza di una predisposizione innata a creare legami affettivi; sono le prime figure significative con cui entra in relazione il bambino, la cui presenza rassicura nei momenti di tensione emotiva e procura un senso di benessere, di piacere e di gioia nelle diverse situazioni della vita quotidiana che creano quel legame di attaccamento che si sviluppa nella prima infanzia, ma rimane attivo per tutta la vita, costituendo il modello delle successive relazioni e influisce, insieme alla cultura, alle credenze genitoriali, alla società, alla storia della famiglia, sulla formazione degli stili parentali.

Ci sono alcuni stili educativi, che costantemente presenti e attivi, creano malessere nel bambino.

Genitori eccessivamente attenti ad evitare al proprio figlio ogni minima frustrazione perché temono che potrebbe soffrire in modo irreparabile per il resto della sua vita. Bambini che ricevono dimostrazioni di affetto intense dai genitori, i quali pensano che potrebbero stare male e sentirsi in colpa se non riescono a eliminare tutte le possibili fonti di disagio dalla vita del bambino, il quale tenderà a costruirsi una visione negativa della vita, tenderà ad evitare certe situazioni per paura e non svilupperà l’autonomia e la capacità decisionale.

Il dialogo interno dei genitori potrebbe essere caratterizzato da tali pensieri: “Ogni esperienza spiacevole può diventare un trauma che segnerà per sempre il bambino”; “E’ terribile se il mio bambino sperimenta una sofferenza anche minima, quindi devo prevenire ad ogni costo che ciò avvenga”; “Il mio valore dipende da come mi comporto come genitore, quindi devo assolutamente evitare ogni possibile errore”.

Più frequentemente tale modalità educativa genera bambini insicuri, non preparati ad affrontare reazioni diverse da quelle a cui si sono abituati nell’ambiente familiare, cominciano a considerare “terribili” le conseguenze di eventuali azioni sbagliate e a nutrire dubbi sul proprio valore personale. I figli possono ribellarsi a questo atteggiamento oppure adeguarvisi, formando un legame simbiotico con i genitori, cui sono molto legati, e caricarsi delle loro ansie e aspettative.